17.

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𖥸

𝑸uando Cayman mi lasciò a casa mia quella notte, fu strano vedere la luce della cucina accesa, e ancora di più la macchina di mia madre parcheggiata davanti l'entrata del garage.

Una volta fuori dalla sua jeep, lui mi fissò preoccupato. «Sei sicura di non voler rimanere da me ancora un po'?».

«Sta tranquillo, è mia madre». Fissai la casa e poi di nuovo lui con un sorriso puramente finto, perché il panico mi stava serrando lo stomaco. «Buonanotte Cay».

Sorrise lievemente, abbassandosi la visiera sul viso e fissando la strada. «Buonanotte qëtesi».

Mentre lui sgommava via, io mi avvicinai alla porta d'ingresso, e quando lui superò il quartiere la aprii. Era strano che lei fosse ancora sveglia a quell'ora, soprattutto in cucina, ma il mio unico pensiero era rivolto al fatto che fosse tornata a casa e non mi avesse avvisato.

Mia madre era tornata. E non mi aveva avvisato, se ne era semplicemente fregata, senza neanche chiedersi dove fossi.

«Mamma?». Chiamai, a voce non troppo alta. Quando non rispose nessuno, mi avvicinai alla cucina e la sorpresi poggiata al bancone, con una redbull in mano e lo sguardo vitreo, spento.

Lo spostò su di me. «Che ci fai qui?». Sputò acida.

«In che senso?». Mi morsi la pellicina delle unghie e mi poggiai al balcone con i gomiti.

Storse il naso e gettò la lattina dentro al secchio con rabbia. «Che diavolo ti salta in mente dico io?! Hai una bella faccia tosta a presentarti a casa mia dopo-».

«Mamma, ma che ti prende?». Dischiusi le labbra, non sembrava neanche lei.

«-dopo aver quasi ucciso tuo padre!». Strillò.

Mi drizzai, allontanandomi di qualche passo. «Cosa?».

«Sei solo una stupida, lo sei sempre stata, ma non credevo arrivassi a così tanto da quasi ammazzare tuo padre con la tua guida da spericolata e la testa fra le nuvole! Hai mandato mio marito in coma!». Ringhiò furiosa.

Spalancai la bocca, sentendo gli occhi farsi più caldi. «Tuo marito è anche mio padre! Credi che non mi senta già uno schifo?!».

«Non abbastanza se vai in giro fino a tarda notte!». Batté un pugno sulla penisola di marmo.

«Sto solo cercando di non pensare all'immenso casino che è la mia vita, cazzo! Non è colpa mia!». Urlai.

Mi si avvicinò furiosa. «Invece sì che è colpa tua! Qualunque cosa ti succeda di brutto è colpa tua, perché te lo meriti! Siamo stati felici senza di te fino ad ora e hai rovinato tutto! Hai quasi ucciso tuo padre come hai ucciso tuo nonno, li hai persi come perdi ogni singola persona perché non sei abbastanza da tenerteli vicini!».

«Smettila-». Il fiato si fece più corto e il mio cuore lo sentii battere attraverso la cassa toracica. Avevo la tachicardia.

«Sei sola perché ti meriti di stare da sola! Tu non sei abbastanza, Melody Hunt, e non lo sarai mai!». Tuonò.

Persi il controllo. Ufficialmente.

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