20.

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𖥸

𝓡imanere da sola non mi piaceva più come un tempo. Il silenzio era un peso e non più un sinonimo di libertà, con il ricordo delle risate, delle conversazioni e della compagnia.

Scuotendo la testa, con una tazza bollente di caffè americano, mi avviai su per le scale, con il rumore delle zampe di Abel che mi seguiva. Era diventato la mia ombra, mi seguiva ovunque, e onestamente non mi dispiaceva, era un cucciolo protettivo dall'aspetto aggressivo ma molto dolce caratterialmente.

Passando di fronte allo studio di Cayman, originariamente per andare in camera mia, mi fermai di fronte la porta socchiusa. Un pensiero, dettato da una parte di me che mi sussurrava cose poco etiche, spinta dalla mia voglia di scoprire ogni mistero, mi portò a entrare. Cayman era un mistero per me. Uno dei più grossi mai avuti.

Chiusi la porta a chiave, in caso di necessità avrei usato la scusa di sentirmi poco sicura a casa da sola, e posai la tazza sulla scrivania di legno scuro. Iniziai a girovagare, sfiorando i libri della libreria immensa che aveva, e mi fissai in particolare sulla parte sinistra, dove la spina dei libri non sporgeva come gli altri.

Era strano. Sembravano finti.

Cercai di estrarre uno dei libri e l'impossibilità di eseguire l'azione mi confermarono che lo erano. Aggrottando la fronte, cercando di capirne il motivo, il mio sguardo venne catturato da un libro di colore marrone scuro, rilegato in pelle, sulla libreria di destra. Mi avvicinai, alzandomi in punta di piedi, e lo presi.

C'era incisa una frase in quello che pensavo fosse albanese, in un oro che spiccava in contrasto con il colore scuro della pelle.

Gjith jeten te buzeqeshur te pafsha.

Non ne sapevo il significato quindi cercai su internet, sul mio telefono, che cosa significasse. Sfortunatamente non trovai nulla, ma mi segnai la frase sulle note, magari un giorno avrei scoperto che significava. Posai il telefono e aprii il libro.

Era un finto libro, poiché era tagliato nel mezzo, togliendo tutte le pagine, per creare una scatola ben nascosta alla vista di occhi indiscreti. Ed era pieno di fogli, no anzi, di lettere. Tutte scritte a mano, in una calligrafia inclinata e disordinata che avevo già visto sul post-it che mi aveva lasciato Cayman in frigo il giorno del mio compleanno.

Lo portai con me e mi sedetti sulla sedia, uscendo l'ammasso di lettere per sparpagliarle sulla scrivania. Erano davvero tante, alcune di una pagina, altre scritte fronte e retro, ma nessuna aveva scritto il destinatario, solo il mittente, come se queste lettere alla fine non sarebbero mai state spedite. Anche se forse non avrei dovuto, con mille spine alla gola che pizzicavano e bruciavano, iniziai a leggere le sue parole.

6205 giorni di tortura.
6205 giorni in cui sono costretto a vederti senza poterti toccare, in cui non mi guardo allo specchio perché mi vergognerei di quello che sono, in cui ti guardo e so che non potrai mai essere ciò che vorrei tu fossi per me.
Le ho provate di tutte, credimi, ho provato con ogni fibra del mio essere a smettere di amarti. Sono stato con altre donne, ho toccato la loro pelle e ho pensato a come sarebbe toccare la tua. Ho fatto l'errore di inspirare il loro odore e quando non ho sentito il tuo mi sono sentito perso, perché ingannare la mente senza vedere ciò che hai attorno è facile, ma ingannare il cuore è impossibile.
Al cuore non serve vedere, basta sentire, e perfino lui lo sa che inizia a battere solo quando si sincronizza con il tuo.
Me lo chiedo, sai, se avrò mai un po' di pace. Se questa tortura mai finirà, in qualche modo, e io potrò finalmente lasciarmi andare. Ma la risposta è che la pace non esiste al di fuori delle tue braccia.

AnankeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora