26.

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𖥸

𝓑attei le palpebre più volte, muovendo la testa prima a destra e poi a sinistra, con i muscoli più indolenziti che mai. Tentai di alzarmi a sedere, facendo leva sulle braccia, ma una fitta di dolore mi partì dalla schiena e sembrò arrivarmi dritta al cervello.

«Ehi, piccolina!» Disse una voce allarmata vicino a me e mi costò anche la semplice azione di voltare la testa verso di lui. «Torna giù, non devi sforzarti».

Osservai il suo sguardo preoccupato e il suo sorriso debole, quasi sfinito. «Ychai?».

Si addolcì. «Ciao, piccolina». Poco dopo si voltò verso la porta, ero in camera di Cayman, e urlò. «Cay, è sveglia!».

Un enorme trambusto metallico ci raggiunse dal piano inferiore e poi tanti passi fuori, come delle scarpe che battevano con violenza sul pavimento delle scale, fino ad arrivare alla porta. Quando alzai lo sguardo, i miei occhi incontrarono i suoi.

Ci guardammo per un po', io dal letto, sicuramente in condizioni pietose, e lui con la maniglia ancora fra le mani.

Ychai si schiarì la voce e strinse le labbra. «Okay, ora che ti sei svegliata, bella addormentata, io tolgo il disturbo». Mi fissò con la fronte aggrottata. «Non farlo mai più! Ci hai fatto morire di paura, piccolina». Mi lasciò un bacio sulla fronte, ignorando il grugnito contrariato di Cayman, e gli fece il dito medio prima di uscire.

Quest'ultimo non ci badò nemmeno, chiudendosi la porta alle spalle, e camminando lentamente verso di me. Si sedette sul bordo del letto, al mio fianco, e accarezzò lentamente Abel, che non avevo ancora visto accucciato ai miei piedi.

«Non ti ha lasciato un secondo. È stato qui con te tutto il tempo, leccandoti la mano ogni tanto per incitarti a svegliarti. Se avessi dei condotti lacrimali funzionanti, avrei pianto in ogni momento». Mi guardò con uno sguardo sofferente, addolorato e spento come mai prima d'ora.

Sorrisi. «È un compagno fedele». Risposi, odiando il fatto che la mia voce cedette alla commozione.

«Melody». Mi chiamò affranto. «Il mio cuore ha ripreso a battere solo adesso che sei sveglia. Sono stati giorni terribili, ho creduto il peggio, sono impazzito».

Spalancai gli occhi. «Giorni?».

Annuì. «Hai perso conoscenza e non ti sei svegliata per quattro giorni interi. Non sapevo cosa fare, volevo portarti in ospedale ma so quanto lo odi e ho deciso di curarti a casa, ecco perché hai la flebo. Era l'unico modo che avevo per nutrirti».

Chiusi gli occhi, cercando di non pensare a quante calorie quel liquido avesse per riuscire a compensare il mio fabbisogno giornaliero.

«Melody, non ci pensare neanche!». Ringhiò, rimproverandomi all'istante.

Aprii gli occhi. «A- a cosa?».

«Credi che non ti conosca? Oh, ti conosco invece, e so a cosa sta pensando la tua testolina». Tuonò furioso, afferrandomi per le guance e tirandomi verso il suo viso. «Hai rischiato di morire, lo capisci? Ho rischiato di vederti morire sotto i miei occhi senza poter fare nulla».

I miei occhi si riempirono di lacrime. Era la seconda volta in poco tempo che rischiavo di lasciare questo mondo per sempre. E se il significato di tutto ciò fosse che lo meritavo davvero, come aveva detto mia madre?

AnankeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora