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𖥸

Cayman

𝓒i sono molte cose che odio. Davvero molte. Fra le tante, spetta un posto d'onore alla debolezza mentale, molto più subdola di quella fisica. Perché la debolezza mentale non serve a nulla. Non ti dà niente, ti toglie soltanto.

Succede che un giorno ti alzi e il tuo cervello aumenta il rilascio di dopamina, adrenalina e ossitocina, mentre diminuisce quello della serotonina, che potremmo chiamare "freno inibitore della psiche umana" perché funge a regolare il tuo equilibrio psicologico.

Oh, e poi prende la decisione peggiore, a mio parere, che il cervello possa prendere: disconnette l'amigdala, che è il centro della paura che proviamo. È come se si sentisse di non dover più intervenire ed è così che la paura semplicemente scompare.

Questo è quello che succede al cervello quando si intraprende una qualsiasi relazione sentimentale: si indebolisce e perde di vista la missione principale. Lavora di euforia.

Io la chiamo debolezza mentale. Lo è.

Ed è per questo che, mentre leggevo un libro particolarmente interessante, non ho saputo dire di no agli occhi così dolci, lucidi e marroni di Melody quando ha iniziato a sventolarmi davanti alla faccia due biglietti per l'escape room che hanno montato dentro la fiera del Festival di Halloween di Silvertown.

Lei voleva andarci a tutti i costi. Io non volevo andarci a tutti i costi.

E avevo dei motivi per non volerci andare, perché anche tutto questo nascondeva cose celate che in pochi sapevano, come ogni cosa in questo dannato posto. Ma lei non lo sa. E non può saperlo.

Quindi non c'è bisogno che dica chi abbia vinto fra i due, visto che sto tirando fuori delle banconote per pagare due stecche di zucchero filato e mi stupisce anche solo vedere che ci sia. Non ci sono stato gli altri anni, ma a parte il supermercato e una pizzeria di un mio amico in questo posto il cibo è un lusso. E anche se da lusso fa cagare al cazzo.

«Devo ancora andare al bancomat per prelevare i soldi e darti quella della spesa dell'altra volta, oltre che di questo». Alzò il suo zucchero filato e con le dita sottili, prive di anelli, smalto o alcuna decorazione, ne tirò via un po'.

Sorrisi, perché era davvero... genuina. «Qetësi, anche se avessi i contanti addosso non ti farei pagare».

«Un gentiluomo mi farebbe pagare ogni tanto». Sbuffò e io trattenni un altro sorriso, stringendo il labbro inferiore fra i denti.

Era così adorabile quando si infastidiva, come una gattina di piccola taglia ma con degli artigli affilati. Deliziosa.

Staccai anch'io un pezzo di zucchero filato e mi strinsi nelle spalle, fulminando qualunque essere le passasse troppo vicino. «Mi pare di averti già detto che non sono un gentiluomo».

«Non lo ricordo...». Mi osservò con innocenza e si mise in bocca quel pezzo di zucchero filato, leccandosi poi le dita, e io percepii le mutande diventare una taglia più piccola, stringendomi in un punto particolare. Per fortuna avevo indossato la tuta larga, come sempre, e non un paio di jeans.

Non mi era mai capitato di voler diventare un pezzo di zucchero. Immaginai che fosse vero quello che dicevano, che ci fosse sempre una prima volta per tutto.

AnankeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora