22.

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𖥸

𝑸uando Cayman mi aveva detto, dopo pranzo, di mettermi un paio di leggings e un top sportivo pensavo si fosse finalmente deciso a fare palestra con me. Di certo non mi aspettavo di vederlo accanto ad un sacco da boxe, con dei guantoni rossi da boxe e i paracolpi fra le mani. 

«Vuoi farmi sfogare la rabbia che mi hai causato stamattina? Io sono ben disposta». Ironizzai, ma neanche tanto, riferendomi al momento in cui mi aveva vietato di fare la mia corsa mattutina per un motivo a me sconosciuto. E con vietato intendevo dire che aveva chiuso a chiave tutte le porte principali. 

Inclinò la testa, con un lieve sorriso sulle labbra. «Mi piacerebbe, ma se fossimo a letto e poi potrei sbatterti come dico io». Alzai gli occhi al cielo. «Sei qui perché ho ascoltato con cura quello che mi hai detto ieri a cuore aperto e ho pensato...». Tentennò. 

«Hai pensato?». Lo incitai. 

«Che finché non inizierai i corsi di difesa e tutte quelle cazzate in università, potrei insegnarti qualcosina io. Per le emergenze, se mai-». Digrignò i denti. «Lo sai».

Battei le palpebre sorpresa. Mi avrebbe fatto un grande favore se mi avesse insegnato qualche altra tecnica di difesa, ma non solo per il percorso all'università, anche per me stessa. Forse mi sarei sentita finalmente più sicura. 

Gli porsi le mie mani per fasciarle. «Mi fido di te». Scherzai, ma i suoi occhi si alzarono di scatto e mi fissarono intensamente. 

«Ne sono felice». Mormorò roco. 

Prese il cappio di una estremità della benda e lo infilò sul pollice, fasciando poi il polso per tre o quattro giri all'incirca, fasciò anche le nocche e mi chiese di chiudere il pugno per vedere se fossero troppo strette. Tornò sul polso e chiuse la fasciatura grazie alla parte fatta di veltro. Fece la stessa identica cosa sull'altra mano. 

«Metti questi». Mi ordinò, aiutandomi ad infilare i guantoni, e li chiuse. 

Mossi le mani, sentendomi così strana con tutto quel peso e le mani avvolte, ma una scarica di adrenalina mi salì dalla spina dorsale al cervello, come se pregustassi il momento in cui avrei potuto scaricare il dolore attraverso i colpi. 

«Se colpisci male il sacco potresti farti male al polso, perciò in questo caso stammi a sentire e fai come ti dico, okay?». Quasi mi rimproverò e io, ridendo sotto i baffi, annuii. 

Si sistemò al mio fianco. «Nel pugilato si usa solo e unicamente la parte frontale del pugno, non la parte interna che scende verso il polso, non il pollice, o ti farai davvero male. Tieni il polso dritto quando colpisci». Mi prese il braccio e lo distese nel modo giusto, creando una traiettoria diritta verso il sacco. 

«Colpisci in modo alternato, un colpo con la sinistra, uno con la destra. Fermati un secondo o due e poi di nuovo, uno con la sinistra e uno con la destra». Mi diede una dimostrazione, ma usando una forza minima poiché era senza fasciature né guanti, e io mi concentrai sulla bellezza del suo viso quando mi spiegava certe cose. Era serio, controllato, come se volesse insegnarmi tutto al meglio. 

Scossi la testa e mi concentrai sulla "lezione". Si posizionò alle mie spalle, cosa che mi rese difficile la concentrazione, e mi incitò a provare. Fissai la parte centrale del box e allungai il braccio destro, seguendo una traiettoria diritta immaginaria, colpendo solo con le nocche come lui aveva detto, e subito dopo eseguì un'altra volta la stessa azione ma con il braccio opposto. 

AnankeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora