12.

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𖥸

𝓠uello che era successo mi aveva sconvolto solo dopo ore, come se non avessi ancora ben realizzato a causa dell'adrenalina. Mi ero ritrovata a tremare mentre mi facevo la doccia, mentre mangiavo a piccoli bocconi e perfino mentre ero in pieno dormiveglia. 

Eppure Cayman si era preso cura di me senza fiatare, come se non avesse voluto fare altro per tutta la vita, e non era una cosa che c'entrava con il suo lavoro, con il suo essere un infermiere abituato a farlo. Qualcosa mi diceva che era una cosa sua, quella. 

"Starai qui finché non ti riprenderai, Melody. E non voglio sentire qualcosa che non sia un sì come risposta", aveva detto. 

Io mi ero –e tutt'ora ancora- sentita in colpa. "E con il lavoro come fai? So che è stupido, ma non voglio stare da sola".  

"Mi prenderò qualche giorno di pausa", aveva alzato le spalle come se niente fosse. 

"Ma così-", non mi aveva lasciato finire. 

"Non c'è niente che non farei per te. Niente". 

E così aveva chiuso la conversazione. Ed ecco perché ora mi ritrovavo sul divano morbido di casa sua, con Abel accucciato al mio fianco, e un libro in grembo palesemente rubato dalla sua immensa libreria. Aveva la casa dei sogni di un lettore: libreria enorme, divano morbido, camino e giardino curato, il tutto senza i rumori frastornanti della città.

«Ms. Hunt, il pranzo è pronto!». 

Mi alzai, posando il libro sul divano per continuarlo dopo, e Abel scattò sull'attenti mentre mi giravo a guardare Cayman. «Grazie mille, Mr. Rainhill». Sorrisi nel vedergli un po' di farina sul naso e quasi scoppiai a ridere. 

Aggrottò la fronte con sospetto. «Che ridi?».

«Sei sporco, piccolo Chef». Con il polpastrello gli pulii la punta del naso delicatamente, mentre mi fissava con i suoi occhi incolore così intensi da sciogliermi come neve al sole.

Mi ringraziò con lo sguardo e mi accompagnò in cucina, dove entrai per la prima volta. Era enorme, il doppio della mia, e piena di led blu sotto ogni ripiano e mobile, mentre il tavolo a sinistra era di legno chiaro come le sedie, ma a sorprendermi non fu quello. 

Era pieno di cibo, come il buffet dei matrimoni, e pieno di pietanze diverse che non sarei riuscita a provare tutte neanche se mi fossi sforzata. Mentre i soliti artigli del panico mi attanagliavano lo stomaco e facevano male, Cayman parlò. 

«Ogni pasto in Albania è preceduto o accompagnato dai meze, che sono assaggi di vari antipasti. Ieri mi è arrivato un pacco di cibo da mia madre e ho pensato... che avrebbe potuto farti piacere. A lei sicuramente, non mi ha detto altro». Mi sorpassò e prese posto, attendendo che lo raggiungessi.

Ma io ero gelata sul posto, pensando solo a quante calorie si trovassero in quel tavolo e a quanto avrei dovuto correre per smaltirne il doppio di quelle che avrei ingerito. «I-io... non ho molta fame».

«Qetësi, siediti. Qui con me». Visto che non accennavo a muovere un muscolo, sospirò affranto. «Vieni qui, vieni da me».

Mi avvicinai mio malgrado e presi posto anch'io, osservandolo con panico mentre poneva una porzione di ogni antipasto sul piatto bianco che avevo davanti. «Questi sono i dolma, involtini di foglia di vite con carne e spezie orientali». Lo tagliò a metà, facendolo risultare ancora più succoso e appetitoso, e ne mangiò una, mentre l'altra me la portò alla bocca per farmela mangiare. 

AnankeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora