31.

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𖥸

𝑸uando riuscii finalmente a muovere le dita di una mano, la prima cosa che sentii furono i bip continui di una macchina e l'odore di lenzuola nuove, oltre la sensazione di un tessuto liscio sotto alla pelle. 

Come la prima volta tastai con le mani dove mi trovassi e quando toccai il metallo sapevo già, in qualche modo, che fossero le sbarre dei letti d'ospedale e non il lettino da obitorio. 

Aprii gli occhi lentamente e guardai subito la stanza. Non era bianca come quella in cui ero stata la prima volta, ma aveva le pareti verdi. Avevo molti più macchinari addosso, fra cui due tubicini fastidiosi nel naso, e tutto sembrava molto più attrezzato e tecnologico. 

Un'infermiera entrò in camera con un carrellino con sopra una bacinella piena d'acqua e una spugna, oltre che le cuffiette nelle orecchie, e si gelò sul posto quando mi vide. Se le strappò e corse da me. 

«Sei sveglia, Melody! Oh mio dio, tu non hai idea di quanto ti abbiamo atteso!». Mi accarezzò i capelli come se fossi sua nipote e mi stupii di essere trattata con gentilezza. 

Battei le palpebre qualche volta prima di rispondere. «Oh». Beh, non era una delle mie risposte migliori. 

Mi sorrise dolcemente. «Adesso ti faccio portare una bella pizza da un infermiere, scommetto che avrai fame dopo tutto questo tempo. Sono così eccitata, il dottore ne sarà entusiasta!». Con una voce squillante si apprestò ad uscire e non me la sentii di rovinare la sua allegria dicendole che non avevo fame. 

Dopo tutto questo tempo? Perché, quanto tempo era passato?

Poggiai la nuca sul cuscino e mi nascosi il viso fra le mani, cercando di riempire con quello che avevo dentro l'immenso vuoto che sentivo all'altezza del petto. Forse aveva il nome di "delusione" o forse "tradimento". Forse "illusione". 

Beh, qualunque nome avesse... faceva un male cane. 

Quando la porta si aprii di nuovo non spostai neanche le mani, non sapevo chi fosse ma sapevo cosa aveva portato, e non era una pizza ciò che volevo. Desideravo solo entrare nell'ottica che d'ora in poi avrei dovuto vivere nella stessa città di Cayman senza più averlo vicino e possibilmente senza sentire il magone. 

«Puoi posare la pizza sul carrellino, grazie. La mangerò più tardi, quando mi andrà». Mormorai sfinita. Ero così stanca. 

«La pizza con mais, mozzarella, prosciutto, barbecue e maionese va mangiata calda, qëtesi. Fredda fa cagare». 

Mi tirai a sedere come un fulmine e la testa mi girò, ma me ne fregai. Presi il cuscino e glielo lanciai in faccia, che lui prese al volo con la mano libera.

«Che cosa ci fai qui?!». 

«Ssht». Si portò l'indice alla bocca. «Non urlare». 

Lo fulminai. «Ovviamente, visto che non sei un vero infermiere e non dovresti essere qui». 

Mi guardò sorpreso, anche un po' affranto, e posò il cuscino alle mie spalle, mentre il cartone della pizza lo poggiò sul carrellino come gli avevo ordinato. 

«L'hai scoperto».

Lo guardai sofferente. «Ho scoperto tutto di te. Ma l'ho scoperto da sola». Poi mi ricomposi, nascondendo il mio dolore dietro una maschera di pura rabbia, e smisi di guardarlo. «Se fra tre secondi non sei fuori dalla porta, giuro su Dio che mi metto a urlare. Tu sei malato, fai parte di qualche strana setta e vuoi tirarmi giù con te! Sei pazzo!». Sibilai furiosa. 

AnankeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora