13 - Eddie

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Quando busso alla porta dell'aula, una settimana dopo, il professor Ballard è chino su una pila di fogli, ha una mano poggiata sotto il mento e lo sguardo perso tra le parole. Mi accorgo che anche lui porta degli anelli alle dita, come me: un dettaglio minuscolo, ma consolante, visto che nessun altro ragazzo qui a scuola li ha. Anzi, gli sportivi li considerano da finocchi.

Adoro l'apertura mentale dei liceali americani.

«Eddie» mi accoglie con un sorriso gentile. «Entra pure.»

«Mi dispiace disturbarla...» comincio. Mi siedo all'altro lato della cattedra, imbarazzato. È la prima volta che tento di intavolare una conversazione volontaria con un insegnante.

«Nessun disturbo» mi blandisce agitando una mano. «Stavo correggendo dei compiti in classe su Montaigne, niente che io non possa rimandare. Mi fa piacere vedere che stai meglio.»

I suoi occhi azzurri esaminano discretamente i lividi ancora visibili su viso e mani.

«Uhm, molto meglio. Sono qui proprio per ringraziarla. Non so come sarebbe andata a finire, senza il suo intervento.»

«Non dirlo nemmeno per scherzo. Jason Carver e i suoi compagni hanno superato ogni limite, era mio dovere far sì che venissero sospesi per almeno tre settimane. Questo atto di violenza rimarrà nei loro curricula accademici, te lo posso garantire. Certi comportamenti non possono e non devono essere tollerati, in nessun caso.»

Il suo discorsetto da professore in missione dovrebbe farmi alzare gli occhi al cielo, invece mi ritrovo ad annuire, sollevato. È come se mi capisse, se fossi meno solo. Protetto, per certi versi.

Nella convalescenza passata tra letto e divano, Steve mi ha fatto sentire così. È solo merito suo se la mia mente a brandelli non ha perso l'ultimo briciolo di sanità mentale.

«C'è altro che posso fare per te?» continua il professore con il solito tono accogliente.

«Lei ha notato qualcosa di strano nel comportamento di Chrissy?»

La domanda prende entrambi in contropiede, soprattutto me. L'ultima cosa che pensavo di chiedergli quando ho aperto bocca era questa, però mi rendo conto solo adesso che mi è frullata nella testa da quando ho deciso di venire a ringraziarlo. Ballard incrocia le dita all'altezza del viso, i gomiti appoggiati sui fogli.

«Eddie, io e gli altri insegnanti di Chrissy abbiamo già parlato con le forze dell'ordine. Nessuno di noi aveva informazioni rilevanti» mi ricorda con pazienza, anche se noto una lieve punta di rammarico.

Mi sento arrossire appena. «Mi scusi. Avrei dovuto immaginarlo.»

«Il bisogno di trovare un senso, di capire... lo condivido appieno. È un sentimento normale, fa parte dell'elaborazione del lutto.» Sospira. «Dirò a te quello che ho riferito a Hopper: avevo avuto la sensazione che la ragazza fosse meno serena del solito, anche se non saprei indicarne le ragioni. Era più distratta, più tesa, aveva difficoltà a rispondere alle domande e a fare i compiti.»

Il suo racconto conferma la Chrissy perennemente sulle spine a cui mi ero avvicinato io.

«Aveva paura. Ma non ha voluto confidarmi perché» ammetto.

Resta in silenzio, si porta un dito sul mento. Gli occhi sono persi nel vuoto.

«Paura di qualcosa, possibile. O forse di qualcuno» mormora. Riporta l'attenzione su di me. «Hai qualche idea?»

Non ho neanche bisogno di rifletterci. Mi basta abbassare le palpebre per ritrovarmi davanti il grugno subdolo e crudele di Carver. Annuisco.

«Posso solo invitarti a condividere i tuoi dubbi con Hopper. Farsi giustizia da soli non è mai una buona idea» mi avvisa. Poi aggiunge, abbassando la voce: «D'altro canto, so bene che non sarebbe il mio consiglio a fermarti, se avessi deciso di scoprire di più per i fatti tuoi. Sono sempre qui, in caso avessi bisogno d'aiuto».

These Cynical Eyes // SteddieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora