Capitolo Dodici

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- Lucifer - 

TW - Droghe e tossicodipendenze

"Fai ancora uso di quella merda?"

Mi chiese Bentley mentre avvicinavo il naso alla striscia di cocaina che avevo predisposto sul tavolo, sniffandola e chiudendo gli occhi, calmando all'istante i miei nervi tesi.

"Sì."

Mi strofinai il naso con la nocca per eliminare la traccia di polvere in eccesso.

Sospirò, sapendo che non poteva dirmi di smettere. Era una dipendenza, non era qualcosa che potevi smettere di fare di punto in bianco. Le persone pensavano fosse facile fermarsi, ma non lo era, ci avevo provato ed avevo fallito diverse volte. 

"Avanti, parla."

"No."

"Lucifer ti pugnalo con la matita se non cominci a parlare," mi minacciò ed io sbuffai, estraendo una sigaretta dalla tasca, accendendola ed inspirando il fumo.

"Comincio a cantare se non parli."

Fanculo, avrei preferito morire piuttosto che sentirlo cantare.

"Mi piace fottutamente tanto la ragazza a cui sto facendo da guardia del corpo. Contento?"

Strinse le labbra, trattenendo una risata e stringendo i pugni.

"Puoi ridere, non me ne frega un cazzo."

Dopo le mie parole scoppiò a ridere. La sua risata poteva essere udita anche dai nostri vicini. Feci un altro tiro ed alzai gli occhi al cielo per la sua reazione teatrale.

"A te? Piace qualcuno? Com'è possibile," disse sarcastico.

"Calmati, non sono perdutamente innamorato di lei."

"Beh, sembrava dal modo in cui ti sei comportato quando hai oltrepassato la porta di casa," mi sfidò, sollevando un sopracciglio.

"La conosco da poco."

"E ti ha già reso malato d'amore? Merda, deve essere davvero speciale."

Lo è.

"Sei fottuto, fratello. È la figlia di Dante, ti decapita se la tocchi con un solo dito."

"Pensi che non lo sappia?"

Mi stava solo sbattendo in faccia la verità, che conoscevo fin troppo bene.

"Quindi perché ti sei concesso di fartela piacere?"

"Non posso controllarlo, cazzo! A chiunque piacerebbe, è così-"

Mi fermai, prima di aggiungere altro.

Ad essere onesti, non avevo una sola parola per descriverla.

Lei era così tante cose, era difficile sceglierne soltanto una.

Per descriverla in tutte le sue sfaccettature, ci sarebbe voluto tempo.

Molto, molto tempo.

Le sue labbra si curvarono in un ghigno, mentre le sue dita tamburellavano sul tavolo che avevamo davanti, dal momento che mi si era seduto di fronte. 

"Diamine, vorrei conoscere questa pollastrella adesso."

"Non azzardarti a chiamarla così, ha un nome," mormorai arrabbiato.

"E quale sarebbe il suo nome?"

"Dior, ma preferisce essere chiamata Delilah, è il suo secondo nome."

"Ci sei sotto come un treno, amico mio," constatò.

Sollevai lo sguardo dalla sigaretta, senza il bisogno di dire nulla perché capisse di dover chiudere la bocca. Non era il posto e neanche il momento di farmi incazzare. Ero già abbastanza stressato, non mi servivano altre stronzate.

La mia guardia del corpoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora