Capitolo 36: Anime nei corridoi

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No, Percy non aveva avuto una brutta giornata:
Percy stava passando la giornata peggiore della sua vita. Questo è quello che stava pensando mentre tornava per la terza volta nella sala grande, dove avevano organizzato il punto di ritrovo. Nel giro di poche ore infatti, il ragazzo aveva avuto un combattimento sfiancante con un orda di centauri impazziti, aveva rischiato o quanto meno temuto, di perdere un compagno, era stato deriso da più quadri di quanti potesse ricordare ed aveva scoperto di essere condannato o a morire o a uccidere un suo amico nel tentativo di sopravvivere. Come se non bastasse (le Parche non si accontentano mai) Leo e Harry erano scomparsi nel nulla da quasi un ora. Questo, oltre al panico generale, aveva avuto diverse conseguenze: Ginny era quasi scoppiata a piangere dalla rabbia, aveva lanciato qualche incantesimo contro delle poltrone innocenti ed era corsa a "cercare quell'idiota", anche l'anziana curatrice non aveva reagito bene, iniziando a elencare i motivi per cui il suo paziente avrebbe dovuto trovarsi a letto e aumentando così il livello di preoccupazione dei presenti che la sentivano parlare di svenimenti, emorragie e controindicazioni varie; la preside era forse l'unica a non aver perso la testa e si era invece messa all'opera per coordinare fantasmi, quadri e studenti nella ricerca dei due ragazzi. In qualche modo Percy gliene fu grato, era ancora molto scombussolato dalla notizia della sua morte per poter pensare lucidamente in quel momento, quindi avere qualcuno che gli dicesse esattamente dove andare e cosa fare fu quasi sollevante.
Fu per questo che il ragazzo non si sorprese nel ritrovarla in piedi dietro al tavolo degli insegnanti, la fronte aggrottata nella stessa espressione seria delle volte precedenti.
Non appena lo sentì entrare la professoressa Mcgranitt alzò il capo con uno scatto secco, le pupille leggermente dilatate dall'impazienza. Fece per parlare, ma Percy la precedette scuotendo la testa con un leggero sbuffò. La speranza scivolò via dagli occhi della vecchia preside. "Non erano da nessuna parte nelle camerate." Spiegò il semidio. "Sono sicuro di averle girate tutte." Ed era vero, Percy aveva passato gli ultimi quaranta minuti correndo all'interno del dormitorio dei Grifondoro, controllando ogni stanza e chiamando i due a gran voce. Era stato tentato di cercare anche in quello femminile, nonostante gli fosse stato spiegato che era impossibile che i due ragazzi si trovassero lì. Alcuni scivoloni dopo, anche il semidio ne era convinto.
La strega di sistemò gli occhiali sul viso e sospirò con fare stanco. "Certo, non che credessi potessero realmente essere lì..." Scosse il capo, quando riprese a parlare la sua voce era leggermente più sicura. "Ma Hogwarts è grande, non siamo nemmeno sicuri di conoscerne l'intera struttura e per quel che sappiamo potrebbero essere nascosti o bloccati in qualche cunicolo o stanza segreta che ancora non abbiamo individuato." Percy alzò gli occhi al cielo, detestando dover ammettere che era terribilmente vero. "Non avete una mappatura di questo posto?". "Non so una piantina antincendio..." Lo sguardo della strega bastò a rispondere alle sue domande.

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Mentre rovistava fra i flaconi maleodoranti dell'aula pozioni, Annabeth ripensò imbarazzata al accaduto. Di nuovo il sangue le defluì alle guance, chiazzandole di rosso il viso.
Si era lasciata sorprendere dalle emozioni a causa dello stress e della tensione accumulati fino a quel momento, nulla di più, ricordò a se stessa. Adesso però aveva pianto, si era sfogata e, con la testa finalmente libera dalle distrazioni, poteva finalmente affrontare l'imprevisto con maggiore freddezza. No, Annabeth sapeva che quella non era la fine.
Del resto quante volte in passato le profezie si erano prese gioco di loro? Lei è Percy sarebbero dovuti morire affinché Gea risorgesse, eppure eccoli vivi e vegeti appena qualche mese dopo la rinascita della suddetta Dea. Nessuno sarebbe morto, e quella era solo una giornata come le altre, ne più ne meno complessa e difficile. Quindi, costatato che nessuno era nascosto o bloccato (a quanto pare esistevano passaggi segreti nel castello) fra le mura della stanza, la semidea uscì con passo tranquillo, diretta alla stanza successiva.
Stava bene.
Percy stava bene,
probabilmente anche Leo e Harry.
Si, stavano tutti alla grande.
"Non troverai niente lì dentro..." Sussurrò qualcuno all'improvviso, sorprendendo la bionda e costringendola ad arretrare in difesa.
Lo sguardo di Annabeth sfrecciò su ogni parete, analizzando con notevole velocità lo spazio attorno a se. Non vide nessuno, ma questo non bastò a tranquillizzarla.
"Chi c'è?" Grugnì, le orecchie tese a captare ogni minimo suono e il pugnale già stretto in mano, pronta a colpire in qualunque momento.
Non ci fu una risposta vera e propria, ma la figlia di Atena poté sentire chiaramente un suono simile ad uno sbuffo. Proveniva dalla seconda aula, quella contenente il materiale degli ex-studenti e le riserve di ingredienti. Alzando la sua arma e stringendone saldamente l'elsa, Annabeth avanzò verso la porta. Avrebbe potuto buttarla giù con un calcio, ma optò per qualcosa di più discreto, quindi allungò un piede per sospingerla lentamente.
Non fece in tempo a toccare il legno scuro che un volto corrucciato ne emerse costringendola nuovamente ad indietreggiare.
Ok, non era decisamente questo che si aspettava. Due occhi spazientiti la osservarono dall'alto, inquisitori, mentre lei si ritrovava a sua volta a fissare la figura fluttuante.
I suoi occhi grigi scorsero prima i piedi, calzanti scarpe inutilmente comode ( o erano anche a circa venti centimetri dal terreno ), poi la testa allungata e i suoi capelli lisci, quindi parte del lungo abito, rovinato all'altezza del busto da una strana macchia luminosa. Quest'ultima era stata nascosta sotto l'elegante mantello che circondava la donna e che però, come mosso da un vento invisibile, ciclicamente si spostava lasciando intravedere una profonda ferita. Annabeth non si lasciò intimidire, tenne invece la sua arma con maggiore forza, preparandosi a parlare.
"Chi sei?" Domandò sospettosa, un dubbio che le attanagliava la mente. "Uno dei fantasmi del castello?"  L'antica strega arricciò le labbra, rimanendo ferma a poco più di due palmi di distanza dalla semidea. Quando parlò la sua voce era bassa, ma solenne, le parole che scivolavano fuori con ritmo lugubre e che ad Annabeth ricordò i cortei religiosi che da bambina era solita seguire dalla finestra.
"Io sono la Dama Grigia, il fantasma di Corvonero." Allungò un braccio come se volesse toccarle il viso, ma dovette cambiare idea perché si fermò a metà strada. "E tu invece... sei Annabeth, è corretto?" Sussurrò.

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