Roma

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"Dai, Rosa, smettila", dissi ridendo, mentre mia figlia continuava a lanciarmi addosso dei coriandoli.

Mi vendicai, gettandone altri verso di lei.

Eravamo sempre così. Due bambine, entrambe. Era la mia vita, mia sorella, la mia migliore amica. 

Per "colpa" della sua nascita, non avevo più potuto frequentare l'università a Torino, e diventare quella donna in carriera che avevo sempre sognato.

Certo, però non avevo rinunciato ai miei obiettivi: sarebbe stato tutto molto più complicato, ma ce l'avrei fatta. Avevo frequentato la facoltà di architettura a Venezia, vicino ai miei genitori, in modo che loro potessero stare con Rosa, mentre io ero in facoltà.

Vivevo in un appartamento microscopico a Conegliano, la cittadina in cui ero cresciuta, e che avevo sempre odiato. Il mio sogno era quello di trasferirmi sul serio in città, insieme a Rosa.

La stavo crescendo da sola, quasi completamente: non volevo che i miei genitori mi aiutassero troppo. Lei era mia figlia, e io avrei dovuto crescerla.

Ed infatti, stava crescendo a tutti gli effetti come una piccola me: educata a partite di calcio, Harry Potter, libri, musica, tennis e Formula 1.

Una madre qualunque avrebbe osservato preoccupata il disastro che si trovava sul pavimento, alla terribile idea di doverlo pulire da tutti i coriandoli che vi si erano depositati.

Non io. L'avrei pulito, certo, ma non me ne fregava poi granché: ci eravamo divertite, e questo era l'importante.

Improvvisamente, sentii il mio telefono squillare.

"Torno subito, aspettami qui", dissi a Rosa, mentre mi alzavo, calpestando tutti i coriandoli che si erano posati sul pavimento.

"Ciao Sofi", disse la mia migliore amica, non appena risposi.

"Ehi Ali, come stai?", le chiesi, sorridendo.

"Tutto bene. Senti... ti va di venire a Roma con me, domani? Puoi portare anche Rosa. Staremo lì tre giorni".

"Mi piacerebbe, ma..."

"ma?"

"...", non risposi, ma il problema era che temevo di non avere abbastanza soldi.

"Ah", disse Alice, leggendomi nel pensiero. "tranquilla. Devo andarci per lavoro, e mi hanno offerto un biglietto omaggio... dovresti solo pagare la quota di Rosa, se vuoi che venga. Alla prenotazione ci penso io".

Sorrisi, sollevata. L'avrei portata con me, ovvio, ma la quota di spesa per una bambina non era poi così elevata. Non avrei avuto problemi.

"A che ora ci troviamo?"

"Domani mattina prendete il treno delle 8. Io salirò a Firenze. Ti invio i biglietti."

Riattaccai, più sorridente che mai. Quella sarebbe stata la prima vacanza, da secoli.

"Hai sentito, tesoro?", chiesi a Rosa. "Domani si parte per Roma!"

"Dov'è?", mi chiese, con quella sua innocente vocina.

"A circa 5 ore da qui", risposi, per poi cercare una cartina dell'Italia online. "vedi... si trova a metà dello stivale. E' la nostra capitale".

Rosa iniziò a battere le mani, sorridente.

La strinsi a me, stampandole un bacio sulla guancia.

Trascorsi il resto della giornata a preparare la valigia, controllando decine di volte di non aver dimenticato nulla.

Fu così che, la mattina dopo, io e Rosa eravamo al binario 2 della stazione dei treni di Conegliano, mentre attendevamo la Frecciarossa per Roma.

Dieci minuti dopo, eravamo comodamente sedute sui sedili che ci erano stati assegnati.

Il treno partì, e trascorremmo tutto il tempo a chiacchierare, come vecchie amiche. Ogni tanto facevo qualche interruzione del tipo: "Rosa tesoro, che dici, lo prendiamo Calhanoglu al fanta?"

Vidi il suo visino tondo annuire, seguito da un'esclamazione di assenso. "Sì! Calha sì!".

Mi misi a ridere, compiaciuta della bambina che stavo crescendo.

Alice, come promesso, salì sul treno a Firenze, dove viveva.

Salutò entrambe, abbracciando Rosa come un peluche. La vedeva poco, ma le era affezionata come fosse sua nipote.

"Zia!", disse la bambina, facendo commuovere la mia migliore amica.

"Sei proprio sicura di non volere figli?", le chiesi, ridendo, dopo che si fu seduta.

Fece una smorfia, evitando di rispondermi.

Arrivammo a Roma poco dopo, e fummo travolte dalla frenesia della capitale italiana.

Dio, quanto amavo le grandi città.

"Ma l'hai vista, com'è bella?", chiesi a Rosa mentre, pian piano, l'intera città scorreva di fronte a noi, attraverso il finestrino di un taxi.

Trascorremmo tutta la giornata a visitare musei, chiese, fino ad averne la nausea. La verità era che tutto ciò mi era mancato: amavo l'arte come me stessa, e, se avessi potuto, avrei dedicato tutta la mia esistenza ad ammirarla.

"Lo sai, vero, cosa devo fare domani?", mi chiese Alice, dopo che Rosa si era addormentata.

Certo che lo sapevo. Era una giornalista sportiva, e sicuramente era lì per intervistare una delle due squadre romane.

Paulo.

Lo avevo sempre saputo, eppure, in quel momento, non mi faceva alcun effetto. In fondo avevamo solo fatto sesso una sera in discoteca e, nonostante una figlia in comune, non avevo nulla da dirgli. Nonostante tutto, ero felice di come fosse andata la mia vita.

"Certo che lo so", risposi.

Alice mi scrutò, per qualche istante. "Ti va di venire con me?", chiese.

Non reagii, sbalordita. "io?"

"Ovviamente no! Mia nonna!"

Scoppiai a ridere. "Ma...posso?"

"fingi di essere la mia assistente, e il gioco è fatto. Saremo là solo per documentare l'allenamento della Roma prima del Derby romano"

Restai in silenzio qualche istante, per riflettere. Mi sarei trovata di fronte al padre di mia figlia.

"Lasciamo Rosa al servizio babysitter dell'hotel... dai, vieni con me!", insistette.

La guardai negli occhi, e mi convinsi. "ok", risposi.

"Sapevo che avresti accettato! Ami il calcio talmente tanto che non potresti mai rifiutare!".

Scrutai l'orizzonte, mentre la fredda brezza invernale mi accarezzava il volto.

"Ti ammiro, sai?", disse Alice, rompendo il silenzio tra noi.

Sorrisi, mentre proseguiva: "sì... insomma... fossi stata in te probabilmente avrei abortito, e invece tu no... tu hai cresciuto Rosa, senza mai versare una lacrima, e ne hai fatto una bambina meravigliosa".

"Di lacrime ne ho versate, credimi", ribattei.

"Tu sei forte. Basta vedere come stai crescendo Rosa... siete come sorelle. Qualsiasi donna avrebbe dato di matto ad avere una bambina così piccola sempre intorno, ma tu no. Tu hai continuato, a testa alta, nonostante fossi consapevole che suo padre non ti avrebbe mai aiutata."

"sai, ogni tanto ci penso... sono contenta che di tutti i ragazzi con cui avrei potuto fare sesso, mi sia capitato proprio Paulo Dybala", dissi, rendendomi conto di non aver mai esposto a nessuno questi pensieri. "in lei scorre il sangue di un campione, nelle vene ha l'Argentina, il calcio... e poi quegli occhioni verdi! Sai quanti ragazzi le moriranno dietro, un giorno!".

Scoppiammo entrambe a ridere.

Mi voltai verso Rosa, placidamente addormentata. Un giorno avrebbe dovuto saperlo, pensai. Avrei dovuto dirle che, in fondo, lei era una "Dybala", anche se non ufficialmente.

Chissà come l'avrebbe presa, pensai, con la maglia di suo padre appesa in camera, senza nemmeno saperlo.

Ogni cosa, comunque, avrebbe dovuto attendere il suo momento. Anche la verità.

La rosa nera II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora