tale padre, tale figlia

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Parcheggiai la mia auto di fronte al condominio in cui si trovava l'appartamento di Sofia e Rosa.

"Prendiamo insieme un po' delle tue cose e poi andiamo a casa mia, va bene?"

"Perchè?" chiese, ingenuamente.

"Finché la tua mamma non si sveglierà, resterai da me per un pochino"

Rosa annuì. Era piccola, ma non stupida. Sapeva perfettamente che la sua mamma stava male, e che il pericolo di non poterla vedere mai più si faceva sempre più grande.

Scendemmo insieme dall'auto, e salimmo le scale del condominio.

Quando aprii la porta dell'appartamento, decine di scene iniziarono a scorrere di fronte ai miei occhi. Potevo sentire la sua risata, la sua voce. Nell'aria c'era il suo profumo, e le sue cose giacevano sparse in ogni angolo.

Accompagnai Rosa nella sua cameretta, e la aiutai a raccogliere il necessario.

La invitai a prendere i suoi giochi preferiti, mentre io mi occupai dei vestiti. Pigiami, intimo, magliette, pantaloni, ... presi tutto, nella speranza di non dimenticare nulla di importante.

Quando uscimmo dall'appartamento, ero sul punto di scoppiare a piangere.

Arrivammo a casa mia dopo qualche minuto. Consegnai gli oggetti di Rosa alla donna delle pulizie, dicendole di riordinarle all'interno di una delle camere ancora vuote.

Per un attimo io e mia figlia ci guardammo, indecisi sul da farsi.

Poi, in un angolo del mio giardino, vidi un pallone da calcio.

"Vieni... ti insegno a giocare a calcio"

Le lanciai il pallone, facendola correre da una parte all'altra del giardino, con i suoi lunghi capelli castani al vento.

Le spiegai le regole del gioco, ma ad un tratto mi resi conto che le conosceva già tutte: con una madre come Sofia, d'altronde, come avrebbe potuto essere altrimenti?

Le insegnai a bloccare la palla, a gestirla, a passarla, e a fare goal.

Sorridevo, perchè notavo in lei un certo talento. Forse aveva ereditato qualcosa anche da me, pensai... oltre al colore degli occhi, ovviamente.

Per qualche istante riuscii a non pensare a Sofia. Vedevo solo Rosa, che correva come una pazza in giro per il giardino, con il pallone tra i piedi.

Improvvisamente, mi venne un'idea.

"Rosa", la chiamai.

Quando mi raggiunse, le feci una proposta: "ti va di venire con me agli allenamenti, domani?"

Lo sguardo di mia figlia si illuminò di colpo.

Dio, sembrava sua madre.

"Vedrai la sede della Roma!", le dissi.

Rosa batté le mani, felice. "non vedo l'ora", commentò, sincera.

E pensare che appena ventiquattro ore prima non sapevo nemmeno che fosse mia figlia, ed ero convinto che non l'avrei mai più vista, che Sofia l'avrebbe tenuta lontana da me.

Giocammo a calcio per un'oretta, poi la riportai in casa per fare merenda. Avevo deciso che l'avrei riportata in ospedale da sua madre, ma allo stesso tempo avevo paura.

Paura di trovarmi di fronte al peggio.

Estrassi un gelato dal congelatore, e glielo porsi.

La aiutai a togliere l'involucro dal cornetto, poi la lasciai mangiare.

Notai che, esattamente come sua madre, aveva l'abitudine di tenere sempre le gambe incrociate.

Per un attimo osservai di fronte a me tutte quelle volte in cui avevo visto Sofia in quella strana posizione. Stavo per scoppiare a piangere.

Quando Rosa ebbe finito il suo gelato, la accompagnai in macchina. Salii, e misi in moto.

Quando arrivammo all'ospedale, sentivo il cuore battermi forte nel petto. Avevo paura. Tanta paura.

"Ciao, Paulo!", esclamò la madre di Sofia, non appena ci vide arrivare. Suo padre fece un cenno con la testa. Lo presi come un saluto.

"abbiamo parlato con il medico, e gli abbiamo detto che stai con Sofia. Se ti va, ha detto che puoi entrare"

Sorrisi, riconoscente. Presi in braccio Rosa, aprii la porta di quella maledetta stanza, e mi accomodai su una sedia accanto al letto di Sofia.

Rosa era seduta sulle mie gambe, ed osservava sua madre. Aveva gli occhi lucidi, esattamente come me.

"Paulo", sussurrò.

"dimmi, piccola"

"si sveglierà, vero?"

Un nodo si strinse attorno alla mia gola, impedendomi di respirare.

"Tua mamma è forte. Vedrai che ce la farà"

Qualche istante dopo, entrò la madre di Sofia. Prese in braccio Rosa, che stava piangendo a dirotto.

La portò fuori, in corridoio.

Fissai Sofia. Eravamo soli.

"Ti sveglierai, vero?", la implorai. "non devi farmi brutti scherzi"

Osservavo il tuo torace che si alzava e abbassava, seguendo i tuoi respiri.

"sai... ci sono ancora tante cose che dobbiamo fare, insieme alla nostra meravigliosa bambina. Pensavo... siamo stati proprio bravi, a farla. E' bellissima. Tu, poi, l'hai cresciuta benissimo. E' una persona meravigliosa già ora, figuriamoci quando diventerà grande"

Trassi un profondo respiro, e scoppiai a piangere.

"Perchè tu la devi vedere crescere, Sofi. Non posso farcela, da solo. lei ha bisogno di te... e anch'io ho bisogno di te. Ho bisogno di svegliarmi con te al mio fianco, ho bisogno di vedere il tuo sorriso, di sentire la tua voce, la tua risata, il tuo profumo. Ho bisogno di fare l'amore con te. Ho bisogno di vivere, con te."

Fossimo stati in un film, a quel punto lei si sarebbe svegliata, esclamando: "vivremo felici per sempre"

Ma, purtroppo, i film smielati non erano la realtà. La realtà era che Sofia era lì, sul punto di morire, e che  nulla avrebbe potuto tenerla in vita, se non la sua forza di volontà e quei cavolo di macchinari che continuavano a fare "bip".

"Te extraño muchísimo", sussurrai.

Restai lì per un tempo inquantificabile, stringendole la mano e sperando che si svegliasse.

Ma lei non si svegliò.

Dormiva, con un volto incredibilmente sereno.

Chi lo sa? Forse mi sentiva, o forse per lei era sul serio come essere in un sonno profondo.

Un sonno che avrebbe potuto essere senza ritorno.

Mi alzai di scatto, per allontanare questi pensieri. Uscii dalla stanza, e trassi un profondo respiro.

Dovevo prendere una boccata d'aria. Non ce la facevo più.

Vidi i genitori di Sofia, seduti poco distante da lì.

Li raggiunsi. "Potete dormire da me", dissi.

"No, tranquillo. Dormiamo in hotel..."

"Insisto. Non ha senso spendere soldi per nulla"

Mi guardarono in modo riconoscente.

"portala via", aggiunsero, indicando Rosa. "sta iniziando a capire che sua mamma potrebbe non svegliarsi mai."

Annuii.

"Rosa!", la chiamai. "dai, andiamo a vedere la partita!"

Sul suo volto comparve un leggero sorriso, che si spense subito dopo. La presi in braccio, e la allontanai da quella stanza infernale.

Quella bambina era ancora troppo piccola per vivere un dolore del genere.

La rosa nera II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora