di nuovo a casa

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Una settimana dopo, varcai la soglia di casa. Erano esattamente 21 giorni che non ci mettevo piede, e mi sembrava trascorsa una vita intera. Trovai ancora sul tavolo la penna che avevo utilizzato per scrivere la lettera a Paulo.

La presi in mano, e sorrisi. Lei aveva parlato al posto mio, mettendo nero su bianco i miei pensieri.

Paulo entrò qualche istante dopo, con Rosa in braccio. Ormai erano diventati una cosa sola, come se fossero sempre stati insieme

La bambina, non appena posò i piedi per terra, corse verso la sua cameretta. Anche lei aveva sentito la mancanza della sua casa, come me.

"Sofi... ti va di uscire a cena questa sera? Tutti e tre, insieme", propose Paulo, una volta che la bambina fu sparita dietro la sua porta.

Sorrisi. "Certo che mi va"

Fu così che qualche ora dopo mi trovai di fronte allo specchio, mentre disegnavo una sottile linea di eyeliner sul contorno dei miei occhi, e mi piastravo i capelli nella speranza che assumessero una forma decente.

In fondo ero rimasta l'adolescente insicura di sempre, costretta a osservarsi allo specchio per secoli, prima di decidersi ad uscire.

Sorrisi alla versione migliore di me, che indossava un vestito nero, aveva dei lunghi capelli lisci che lasciavano intravedere degli orecchini circolari, in argento, e delle meravigliose scarpe con il tacco.

Uscii dalla mia camera, e trovai Rosa che giocava con una Barbie, mentre mi aspettava.

"andiamo?", le chiesi, porgendole la mano.

Sorrise, e si alzò. Mi seguì fino in strada, dove trovammo l'auto di Paulo, parcheggiata di fronte alla porta del condominio in cui vivevo.

Vidi gli occhi dell'argentino posarsi su di me, come rapiti da ciò che avevano di fronte.

"sei... pazzesca"

Gli stampai un bacio sulle labbra. 

Mise in moto, e guidò fino ad un ristorante nel centro di Roma. Quando scendemmo dall'auto, mi resi conto che quello era il locale più "chic" in cui fossi mai stata. Ogni cosa, lì dentro, profumava di successo, di persone che avevano realizzato ogni loro sogno, o che erano nate in un mare d'oro.

"ti piace?", chiese, mentre varcavamo la porta d'ingresso.

"E' meraviglioso", risposi, sincera.

Ci sedemmo a tavola, ordinammo, e ci gustammo la cena. Per me era come vivere una realtà parallela, una vita diversa dalla mia. Solo qualche mese prima non l'avrei mai creduto possibile... era accaduto tutto così in fretta.

Rosa era felice. Scherzava con me e con suo padre, come se fossimo sempre stati così... una famiglia.

Una volta terminata la cena, salimmo nella Lamborghini di Paulo. Quando mise in moto, imboccò una strada che andava nella direzione opposta rispetto alla mia casa, o alla sua.

"dove andiamo?", chiesi.

"lo scoprirai".

Sorrisi, e decisi di lasciarmi andare, di lasciar perdere il lato "razionale" di me , per lasciar prevalere la fiducia nei suoi confronti.

Quando lo guardavo, mi sembrava un sogno, frutto esclusivamente della mia fervida fantasia.

Dopo vari minuti, si fermò. Capii che ci trovavamo in centro, ma non riconobbi la zona. In fondo, vivevo a Roma solo da pochi mesi, e la sua vastità mi aveva impedito di conoscerla a fondo.

Salimmo a piedi lungo una scalinata, e ci trovammo su un'enorme terrazza, da cui era possibile ammirare tutta la città.

Rosa esclamò "Wow!", e corse verso il parapetto.

Io, invece, ero incantata. In fondo mi ero affezionata alla "città eterna". Non era mai stata nei miei piani, e fosse stato per me probabilmente ne avrei scelte altre, ma ora che mi trovavo lì... comprendevo tutto il suo fascino, e il motivo per cui così tante persone si fossero innamorate di lei.

"ti piace?", chiese Paulo, stringendomi la mano che avevo posato sul bordo del parapetto.

"è meravigliosa... sul serio. E' magica"

"Se ti va, può diventare la tua casa. Se vuoi, potete trasferirvi da me, e restare lì come una famiglia.... perchè noi siamo una famiglia"

Osservai Paulo, osservai la luce che brillava nei suoi occhi verdi, osservai le sue labbra, piegate dolcemente in un sorriso. Era bellissimo.

Lo baciai, accarezzandogli il volto con le mani. "Vivrò al tuo fianco finché vorrai", sussurrai.

"Ti amo, Rosa Nera"

"Ti sei sul serio ricordato di questo nome?", chiesi, ridendo.

"Come potrei dimenticarlo?"

Gli stampai un altro bacio sulle labbra. "ti amo anch'io", aggiunsi.


Fu così che il giorno dopo iniziarono i lavori per il trasloco. Paulo riempiva la mia auto con quanti più scatoloni possibili e li portava nella sua casa, dove io li svuotavo e riordinavo le cose come più preferivo, aiutata da Rosa.

Si rivelò una giornata devastante, al termine della quale mi buttai sul divano, esausta. Per cena ordinammo una pizza, dato che nessuno dei due era più in grado di muovere un muscolo.

"E' stato più faticoso degli allenamenti", commentò Paulo, una volta che si fu seduto al mio fianco, con la scatola della pizza posata sulle ginocchia.

"Vista la mia resa in qualsiasi tipo di sport, apprezzo il fatto di essere ancora viva", osservai.

Paulo rise.

Rosa era seduta per terra, con la pizza posata sul tavolino in vetro di fronte a noi. Mangiava tranquilla e serena, senza dire una parola.

A volte mi sarebbe tanto piaciuto conoscere quali pensieri attraversassero quella testolina castana. In fondo non sapevo come avesse veramente preso la notizia che Paulo Dybala era suo padre... fossi stata in lei, sarei rimasta sconvolta. Rosa, invece, non sembrava aver battuto ciglio.

Era piccola, certo, ma non stupida.

Le accarezzai i capelli. Forse, in fondo, quella minuscola creatura era più grande e matura di me e Paulo messi insieme.

La rosa nera II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora