lo deve sapere

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I suoi baci, le sue carezze. L'orizzonte torinese che incorniciava i nostri corpi, che insieme erano così perfetti...

Mi svegliai di soprassalto, mentre le lacrime mi rigavano il volto.

"idiota", sussurrai, alzandomi.

Sapevo che non sarei più riuscita ad addormentarmi, quindi mi cambiai velocemente, ed uscii dalla mi stanza.

Erano appena le 6, quindi i miei passi si muovevano in una Roma quasi deserta, che non avevo mai visto. Le prima auto iniziavano a muoversi, le prime serrande si alzavano, ma c'era un silenzio spettrale.

In effetti, non mi dispiaceva. Era come tornare indietro nel tempo, a quando vivevo a Conegliano, una cittadina tranquilla e poco affollata.

Appena vidi un bar aperto, vi entrai per fare colazione. Ordinai un caffè ed un croissant, cercando di consolarmi con l'idea che entro poche ore avrei potuto riabbracciare Rosa.

Lei era la mia ancora, e mai come in quel momento ne avevo avuto bisogno.

"Va tutto bene, signorina?", mi chiese la barista. Era una signora di mezza età, che nascondeva i lineamenti di quella che doveva essere stata una ragazza molto bella.

Annuii, con poca convinzione.

"E' sicura di sentirsi bene? E' molto pallida..."

Non aveva nemmeno completato la frase, che già alcune lacrime iniziarono a scorrere lungo il mio volto.

"scusi. Non volevo...", tentai di scusarmi, cercando di asciugarmi le guance. Stavo facendo una figura da stupida.

"venga con me", mi invitò la barista, venendo verso di me e porgendomi una mano.

La strinsi, e mi lasciai condurre. Mi fece salire un paio di rampe di scale, al termine delle quali si trovava una porta in legno.

Non appena la aprì, mi trovai in un piccolo appartamento, arredato in modo un po' "vintage", ma tutto sommato carino.

"Sieda qui", disse, conducendomi verso il divano.

Ormai avevo smesso di piangere, e mi sentivo veramente una stupida.

"Non volevo dare così tanto disturbo, sul serio... stavo piangendo per una cavolata"

"se fosse una cavolata non avresti quella faccia, e scusami se ti do del tu... spero non ti dispiaccia"

Le sorrisi, per dirle che poteva benissimo darmi del tu, se preferiva.

"se ti va di parlarne, ci sono"

Non pensavo che sarei mai stata così disperata da trovarmi a confidarmi con una barista conosciuta la mattina stessa.

E invece sì, ero disperata. Le raccontai per sommi capi la mia situazione, senza fare mai il nome di Paulo.

Quando ebbi terminato la narrazione, la donna strinse le mie mani.

"tesoro. Sei così giovane, e con delle responsabilità così grandi...". Uno sguardo comprensivo si impossessò del suo volto. "ti do un consiglio, ma ovviamente puoi ignorarlo altamente, se vuoi"

Sorrisi. "mi dica, per favore. Qualsiasi consiglio può servirmi"

"Trascorri questa giornata con tua figlia, cerca di tornare a sorridere, di calmarti un po', poi... poi parla con suo padre"

Deglutii.

"Digli la verità. Se ti ama veramente, è un amore che durerà per sempre. E' suo padre, ed è giusto che si prenda le sue responsabilità. Se non vorrà stare con te, potrà benissimo sposare un'altra donna, fare figli con lei, mantenendo anche te e la tua bambina"

"ma io non voglio i suoi soldi, voglio lui"

"e allora diglielo. Digli che lo ami, e che vuoi trascorrere insieme a lui il resto dei tuoi giorni. Se è degno di essere amato da te, cosa di cui sono certa, ricambierà."

"E se non mi volesse, e rimanesse con me solo perchè gli faccio pena?"

"Lo capiresti, tesoro. Lo capiresti, e saresti tu a lasciarlo, per renderlo felice"

"grazie", risposi, con un filo di voce. Improvvisamente ero consapevole che tutto ciò che quella donna aveva detto, aveva senso.

Certo, amavo Paulo e avrei fatto di tutto per renderlo felice, ma non potevo continuare così.

Uscii dal bar, promettendo alla barista che sarei ripassata più avanti, per aggiornarla sugli sviluppi della mia vita.

Mi diressi verso la scuola, dove trovai Nicola che mi aspettava in atrio.

"scusami per ieri", esordì. "sono stato troppo invadente"

"tranquillo", lo rassicurai, sorridendo.

"vorrei parlarti, magari quando usciamo"

"va bene", risposi.

Mi diressi in classe, e spiegai.

Parlai senza sosta per cinque ore, di argomenti diversi, in classi diverse. Al termine della mattinata ero veramente esausta.

Mi trascinai stancamente verso l'atrio, dove Nicola mi attendeva, sorridente.

Uscimmo insieme dal liceo, e ci dirigemmo verso la pizzeria in cui, ormai, eravamo soliti mangiare.

"che mi devi dire?", chiesi, incuriosita.

"è un discorso un po' complesso", ammise, "e temo che possa entrare nella tua sfera personale"

Sorrisi. "tranquillo. Ora che sai chi è il padre di mia figlia, non ho più nulla da nascondere"

Vidi un sorriso comparire sul volto di Nicola. Eppure era un sorriso strano... spento.

"non ci conosciamo da molto", iniziò, "eppure mi sento stranamente legato a te. Molto legato a te, e non sto parlando di amicizia. Parlo di qualcosa di più. So che tu hai la tua vita: tua figlia, Dybala, ... però... però, guardandoti, non posso che desiderare di farne parte. So che ti sembrerò pazzo, e forse lo sono, ma... non ho mai provato un sentimento così per una ragazza. Mai. So che sei innamorata del padre di tua figlia, o almeno così mi hai detto, però sono qui per dirti di pensarci sul serio. Io credo di amarti, Sofi. Potrei renderti felice"

Lo guardai, esterrefatta. Non ero pronta per una dichiarazione del genere.

Non sapevo cosa dire.

Fu lui, comunque, a continuare. "So che ora non mi ami, ma con il tempo... potresti. Ho molto da offrirti. Non sono Paulo Dybala, ma comunque credo di poter essere ciò che vuoi. Non so cosa stia succedendo tra voi due, se tu gli abbia detto di Rosa, ma se no  l'hai ancora fatto... non farlo, Sofi. Non farlo. Credi di amarlo, ma non è la persona giusta per te. E' un calciatore, un bambino viziato, un coglione galattico. La vita gli ha dato tutto, e di certo non sarebbe in grado di fare il padre..."

"smettila"

"come?"

"smettila di parlare così. Tu non conosci Paulo, e non puoi permetterti di giudicarlo", sbottai.

Nicola mi fissò, esterrefatto.

"Mi dispiace doverti dare una delusione", gli dissi, sincera. "forse hai ragione. Forse Paulo è un coglione galattico, però lo amo. L'ho visto, quando teneva in braccio Rosa. L'ho visto quando le parlava, quando le insegnava di giocare a calcio. Sarebbe, e sarà, un padre fantastico. Sì, ho deciso di dirgli tutto, perchè e giusto che sappia che al suo fianco c'è sua figlia. Non è vero che la vita gli ha dato tutto: ha perso suo padre, quando era molto giovane. Tutto ciò che ha, ha lottato per raggiungerlo. Ha sacrificato la sua vita in Argentina, per venire qui"

Detto questo, mi alzai. Non volevo più sentire nulla.

Sapevo cosa fare.

Non avevo il coraggio di parlare direttamente con Paulo, per cui gli avrei scritto una lettera.

Entrai nel mio appartamento, controllando l'orologio nella speranza che l'ora del ritorno di Rosa si avvicinasse.

Mi sedetti al tavolo della cucina, con davanti un figlio di carta e una penna Bic nera.

Scrissi. Svuotai la mia anima, e dedicai il suo contenuto a Paulo.

La rosa nera II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora