il primo giorno

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"Mi raccomando, fai la brava!", ammonii Rosa, consegnandola nelle mani della maestra dell'asilo.

Era il primo giorno di scuola, nonché il mio primo giorno di lavoro.

Rosa annuì, mentre io la abbracciavo e le stampavo un bacio sulla guancia.

Salutai mia figlia e la maestra, e mi fiondai fuori dall'edificio.

Erano trascorse ventiquattro ore da quel bacio con Paulo.

Era stato veramente meraviglioso. probabilmente uno degli istanti più belli della mia esistenza. Avevamo continuato a scriverci, e Paulo sembrava seriamente intenzionato a costruire con me qualcosa.

Ero felicissima per questo, ma c'era sempre un enorme problema a separarmi dalla gioia vera: Rosa. Se Paulo avesse saputo di avere una figlia, non sapevo come avrebbe reagito.

Forse sarebbe scappato, ma ero certa che non fosse un tipo così. L'avrebbe accettata, riconosciuta. Sarebbe rimasto con me.

E il problema era proprio questo. Se un giorno si fosse stancato di me, avrebbe fatto finta di niente. Sarebbe rimasto al fianco di una donna che non amava, infelice per il resto dei suoi giorni.

Lo amavo troppo per permettere che tutto ciò accadesse. Se non gli avessi detto nulla, e avessi continuato a stare con lui, ero certa che in qualche modo l'avrebbe scoperto comunque.

E allora sarebbe stato pure peggio.

Immersa in queste elucubrazioni, ero giunta a scuola. Mi fermai un istante, osservando l'intero edificio.

Mi doleva ammetterlo, ma avevo paura. Ricordavo perfettamente l'ambiente scolastico, e cosa volesse dire studiare in un liceo. Ora sarei stata dall'altra parte... forse mi avrebbero odiata...

No, mi dissi. Avrei fatto di tutto per farmi benvolere da quella marmaglia di adolescenti. Volevo che trovassero in me una persona con cui parlare, per non cadere. Perchè me la ricordavo, la loro età. Sapevo perfettamente cosa volesse dire sentirsi sbagliati, incompresi.

Varcai lentamente la soglia, rischiando più volte di essere travolta da miriadi di ragazzi.

Consultai nel cellulare l'orario che mi era stato inviato. Controllai il numero dell'aula, e iniziai a salire le scale.

La prima ora, sarei andata in una terza. 

Attesi qualche minuto dopo il suono della campanella, prima di entrare in classe. Ricordavo perfettamente lo sconforto che provavo ogni volta che un prof varcava troppo presto la soglia dell'aula, e non volevo che lo provassero anche loro.

Con il cuore che batteva forte nel petto, mi avvicinai alla porta, ed entrai.

Quando mi videro, si misero a sedere.

"Buongiorno", dissi, cercando di sfoggiare il migliore dei miei sorrisi.

"'giorno", risposero.

Posai le mie cose sulla cattedra, e mi presentai. Dissi loro il mio nome, e spiegai che sarei stata la loro insegnante di disegno e storia dell'arte.

Li invitai a dirmi chi fossero, e cosa volessero fare da grandi. Non tutti lo sapevano, ma altri avevano le idee ben chiare. Per me quello era un argomento molto importante, e alla loro età avrei pagato oro perchè qualcuno se ne fosse interessato.

Molti volevano fare i medici, altri gli ingegneri... solo una ragazza, mi disse di essere tentata verso la strada dell'architettura.

Erano simpatici, dovevo ammetterlo. Ero stata fortunata ad essere assegnata in una classe come quella. Per certi versi mi ricordava la mia, quando andavo al liceo.

C'era l'intrattenitore di fiducia, che non mi avrebbe fatta annoiare mai. C'erano i secchioni, come me. C'era la ragazza ricchissima e bellissima, dedita solamente alla moda. Quella bassetta e nemmeno tanto bella, che credeva di essere miss Italia, e c'era il "sapiente", che interveniva sempre per fornire notizie di attualità.

Sembrava un tuffo indietro nel tempo.

Quando uscii dall'aula, mi sentivo felice. Non sapevo perchè.

In fondo, non avevo mai voluto fare la professoressa. Era stata l'ultima spiaggia, raggiunta solo per cercare di mantenere me e mia figlia nel migliore dei modi.

Mi diressi nella sala insegnanti, dove decisi di trascorrere la mia "ora buca". Posai le mie cose su una sedia, e mi accomodai su quella di fianco.

Dopo una decina di minuti, vidi un ragazzo, più o meno della mia età, avvicinarsi a me.

"Ciao", mi disse, allungando la mano verso di me. "Sono Nicola"

Gliela strinsi, e mi presentai.

Era molto carino, constatai. Alto sul metro e ottanta, capelli o occhi castani, e dei muscoli che potevano competere persino con quelli di Paulo.

"Scusami il disturbo, ma sono nuovo... sto cercando la presidenza, e non so proprio dove sia".

Gli sorrisi. "Sono qui da un'ora... non credo di poterti essere d'aiuto", mi scusai.

"Ah..."

"ti aiuto a cercarla, se vuoi", mi offrii. Tanto non avevo granché da fare.

Vidi il suo sguardo illuminarsi.

Ci incamminammo insieme tra i corridoi, e iniziammo a chiacchierare un po'.

"Cosa insegni?", mi chiese.

"Disegno e storia dell'arte... tu?"

"ginnastica"

"Oddio, io ero una frana al liceo", commentai, ridendo.

"Sicuramente sarai stata un genio nel resto, allora", replicò, malizioso.

"Me la cavavo", affermai, proprio nell'istante in cui ci trovammo di fronte alla porta della presidenza.

"E' stato un piacere conoscerti", disse, salutandomi con la mano e sparendo oltre la soglia.

Nello stesso istante, percepii una vibrazione provenire dal mio iPhone, nella tasca dei jeans.

Paulo mi proponeva di andare insieme a prendere Rosa, all'asilo.

Accettai, sorridente come noi mai.

Stavo sbagliando, ed ero consapevole di questo. Solo che non volevo ammetterlo. Mi sentivo completa, con Paulo al mio fianco. Completa come non lo ero mai stata.

La rosa nera II Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora