Non ero mai stata negli Stati Uniti prima d'ora.
Era proprio come mi immaginavo: strade trafficate, alti palazzi, gente ovunque e tanti fast food.
Boston era una città meravigliosa, molto molto fredda, ma meravigliosa.
Io, Harry e Gemma ci stringevamo nelle nostre sciarpe per proteggere il collo dal freddo in modo da evitare un raffreddore.
Ognuno trascinava la propria valigia e attendevamo pazientemente che un taxi si fermasse.
"Sai qual è l'indirizzo?" chiese Harry.
"Sì." rispose la sorella.POV di Harry:
Non mi era mai piaciuta l'America, o meglio, gli americani, con tutto il rispetto.
Jessica era americana per quanto mi aveva detto Gemma durante il volo, e questo era un altro motivo per non farmela piacere.
Aspettavamo al freddo un dannato taxi che ci avesse portato da mio padre.
Il fuso orario mi stava praticamente uccidendo. Perché dovevo fare quegli sforzi per una persona che non sapeva neanche quale era la mia faccia attuale?
Louis perché non c'eri tu qui con me?
Perché non potevo sentire più la tua mano stringere la mia per strada, senza farsi vedere, per darmi coraggio?
Era inutile provarlo a cercare fra la folla americana che correva avanti e indietro indaffarata, ognuno di quei passanti aveva una propria storia alle spalle, una propria famiglia da portare avanti e tante sofferenze e problemi da superare, come noi tra l'altro.
Dopo cinque minuti si fermò un santo tassista.
Osservavo bene le strade, le case, i supermarket. Tutto così diverso, tutto così più grande di me. Mi sentivo a disagio in quella rumorosa città.
"Siete inglesi, eh?" la voce bassa dell'autista mi portò fuori dai miei pensieri.
"Sì." sorrise Jamie.
"Carino l'accento." ci fece un occhiolino.
"Se ci stai prendendo per il culo, non ti conviene scherzare con me."
"Ma voi inglesi non eravate gentiluomini?" disse con quel sorriso da schiaffi in faccia.
"Americano, cafone di merda." dissi tra i denti e lui rise.
"Appunto perché sono un gentiluomo non ti spacco la faccia." continuai. Gemma mi lanciò un'occhiataccia ma la ignorai.
Guai a chi insultava la gente del mio Paese. Guai. Specialmente se era americano.
Il taxi si fermò di fronte ad una villetta molto più grande di quella di Louis. Faceva la bella vita, mio padre.
"Ciao, Shakespeare." mi prese in giro il tassista, lo ignorai completamente perché non mi sarei mai abbassato al suo livello.
Presi per mano Jamie e Gemma suonò il campanello.
Il mio cuore batteva fortissimo, ricordandomi quegli attimi prima di quando incontrai mia madre.
Davvero papà era lì dentro, così vicino ma contemporaneamente così lontano perché eravamo due estranei ormai, io e lui.
Dei tacchi a spillo avanzavano velocemente sul pavimento, facendosi sempre più vicini.
Strinsi la mano a Jamie.
Jamie mi strinse la mano e mi guardò ammiccando un sorriso.
Mi parlava con gli occhi lei. Spesso tra noi non c'era bisogno di tante parole inutili. Il corpo comunicava molto meglio.
La serratura scattò e la porta si aprì rivelando una donna sui quarant'anni circa con i capelli di un nero corvino, occhi azzurri che erano capaci di trapassarti l'anima, leggermente storti e ben truccati, e delle labbra fini coperte da un rossetto rosso brillante.
Era abbastanza alta, non considerando i tacchi, portava dei pantaloni neri, una maglia bianca a maniche lunghe e uno scialle blu sulle spalle. Jessica.
"Benvenuti! Voi siete..?" aveva un marcatissimo accento americano, che odiavo, e una voce squillante, ancora più odiosa.
"Sei Jessica?" chiesi con noncuranza.
"Sì. Voi chi siete?" i suoi denti erano sporchi di rossetto.
"Gemma? Harry?" quella voce. Dei brividi percorsero il mio corpo. Quella voce calda e sicura che non sentivo da anni ormai.
"Papà." sussurrai in modo che nessuno potesse sentirmi.
Raggiunse la porta e restammo fermi a guardarci. Gemma l'aveva già incontrato in passato, ma io l'ultima volta che lo vidi fu sei anni fa.
"Harry." sussurrò. I suoi occhi erano rimasti di quel marrone cioccolato, i capelli leggermente tendenti al grigio ed era ingrassato.
Stringevo forte la mano di Jamie e iniziai a sudare.
"Harry, sei tu?" domandò con voce tremante.
"Sì. Sono io." la mia, invece, appariva sicura. Mio padre spalancò la bocca leggermente e si avvicinò. Posò una mano sulla mia guancia, ma non mi mossi. I miei occhi lo penetravano.
Pianse.
Scoppiò a piangere e mi attirò a sé in un abbraccio che non ricambiai.
"Sei cambiato."
"Anche tu." sussurrai.
"Falli accomodare." disse a Jessica, ritornando serio.
Aveva ancora quel profumo che sapeva di papà. Quel profumo che avevano solo i papà.
La casa dentro era immensa, le pareti maggiormente di colore bianco, un grande televisore in sala, una grande cucina, e potevo quasi specchiarmi nelle mattonelle del pavimento in marmo bianco.
Louis, volevo stringere anche la tua, di mano.
"Sono i tuoi figli?" sentii Jessica bisbigliare mentre noi lasciavamo le valigie in sala.
"Sì." rispose lui.
"Prego ragazzi, vi mostro la casa." un odioso giro turistico che non avevo intenzione di fare, piuttosto mi veniva voglia di dirgliene quattro, a mio padre.
"Questa è la cucina, queste sono le scale.." sentivo dire da Jessica con voce orgogliosa, restai in sala, fermo ad osservare le foto della famiglia perfetta che mio padre avrebbe dovuto costruire con noi, la sua vera famiglia.
Mi veniva voglia di bruciarle tutte.
Una in particolare catturò la mia attenzione, era piccola e difficile da notare. Si trovava all'angoletto della mensola. Sembrava un po' dimenticata e infatti lo spesso strato di polvere grigia ne fu la prova.
La afferrai e vidi che era stata scattata nel 2007. Sfregai più volte su di essa per cercare di vedere quale era la foto dentro quel piccola piccola cornice rovinata. Un salto al cuore. Eravamo io e Gemma.
Così tanto tempo fa. Una vita che non mi apparteneva più ormai. Una vita che mai avrei potuto sognare di riavere. E la colpa era solo mia.
La rimisi al suo posto. Due foto a destra, c'era una cornice carina con la foto di una bambina con gli occhi verdi e i capelli neri. Una bambina mai vista prima e non mi interessava sapere chi fosse.
Mi sedetti sul divano e guardai la grande libreria che si trovava alla mia destra. Solo quella gli sarebbe costata almeno mille dollari, considerando la miriade di libri.
Un piccolo particolare fece capolino nella mia mente: la foto della bambina si trovava nel "reparto" di foto della famiglia.
Sentii dei passi che scendevano veloci dalle scale che portavano al piano di sopra e sperai con tutto me stesso che fosse Jamie; ma appena voltai il capo, non era lei.
La bambina ritratta nella foto.
"Ciao!" mi sorrise e agli angoli della sua bocca spuntarono due belle fossette.
Era la mia fottuta sorellastra.
![](https://img.wattpad.com/cover/31218861-288-k276456.jpg)
STAI LEGGENDO
Forbidden.
FanfictionFinito il liceo, Jamie decide di frequentare il college di Oxford per allontanarsi dalla sua città natale, con il fine di chiudere un capitolo della sua vita che l'aveva fatta soffrire. Arrivata alla nuova città, incontrerà nuove persone e nuove am...