Cap. 22 | The sweetest thing

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"Porca merda!"

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"Porca merda!"

L'eleganza non è mai stata il mio forte nei momenti di grande stress, penso che questo ormai l'abbiate capito. É una caratteristica insita nella mia natura ed è solita peggiorare a livelli esponenziali se mi rendo conto che a causare il guaio sono stata io.

Mi passo una mano sul viso stravolto dai postumi dell'alcol e del sonno, col cervello che lavora febbrile nella vana speranza di dare un senso alle ultime dodici ore della mia vita.

Sono andata a letto con Charles Leclerc, per la miseria.

E sì, per quanto la cosa possa suonare fantascientifica persino nella mia testa, mi basta gettare uno sguardo intorno per averne l'assoluta conferma. Vestiti sparsi qua e là, lenzuola disfatte sul materasso, cuscini appallottolati, il suo braccio ancora dolcemente adagiato sui miei fianchi.

Resto immobile. Ogni singolo muscolo del mio corpo strepita di fuggire il più lontano possibile da lì (magari in Botswana, o in un altro paese affine sprovvisto di connessione, telefono, o qualunque altro mezzo di comunicazione moderna), ma voglio evitare in ogni modo che Charles si svegli. Affrontare adesso una conversazione con lui sarebbe insostenibile per me. Non mentre sono nuda nel suo letto, almeno.

Dorme ancora profondamente, disteso a pancia in giù, coperto dal lenzuolo soltanto per metà. Il sole del mattino gli illumina la schiena, costellata dagli evidenti segni della nostra notte appena trascorsa; numerosi graffi irregolari si diradano dalle spalle fino ad arrivare al bacino, dove le mie unghie si sono aggrappate alla sua pelle quando con la lingua mi mandava in orbita.

Sento le guance diventare incandescenti al ricordo di quel momento e di tutti gli altri che ne erano conseguiti.

-
La porta della camera si era richiusa con un tonfo sordo ma io non me ne ero neanche accorta. Non avevo fatto caso a nient'altro, in realtà. Per quanto ne sapessi, potevamo essere in un hotel così come sulla luna.

La bocca di Charles sul mio collo mi aveva mandato in blackout le sinapsi con una scia di baci piccoli ma roventi, causando un k.o. tecnico persino a Vocina. Gli avevo infilato una mano tra i capelli, stringendoli fra le dita mentre la mia schiena si incurvava per approfondire il contatto con il suo corpo. Una spallina del mio vestito si era abbassata a scoprire la scapola, guidata dalla sua mano; il respiro mi si era fermato in gola nel sentire i suoi denti affondare in un morsetto umido, leggero, che mi aveva fatto sfuggire un fievole gemito dalle labbra.

Avevo fatto un paio di passi indietro solo per riprendere il controllo della situazione e cercare di calmare il mio cuore che batteva indemoniato. Avevamo entrambi il fiatone.

Con calcolata lentezza avevo sganciato la zip dell'abito rosso che era caduto a terra in un fruscio di seta.

Non riuscivo a parlare, non avrei potuto. Non con gli occhi smeraldo di Charles che mi percorrevano da capo a piedi, più morbidi e caldi di una carezza di velluto.

La Receptionist | Charles LeclercDove le storie prendono vita. Scoprilo ora