49. Damon

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Calmo.

Mi sento proprio calmo e questa è una sensazione che non ho mai provato in tutta la mia vita. L'irrequietezza ha sempre fatto parte del mio carattere. Non mi fidavo delle persone che mi circondavano, ero diffidente verso chi si dimostrava gentile nei miei confronti ed ero sempre alla ricerca di qualcosa.

Qualcosa che mi completasse e che mettesse a tacere tutte le vocine nella mia testa. Quelle insicurezze che ha instillato la mia madre biologica da quando sono piccolo.

<<Sei fastidioso, Damon!>>.

<<Perchè non hai pulito casa? Ti avevo detto di farlo, dannazione!>>.

<<Devi stare zitto e smetterla di piagnucolare, cazzo! Mi scoppia la testa e hai rotto le palle!>>. Questa era la sua frase preferita. Io piangevo perché avevo fame, lei era strafatta e non si preoccupava di sfamarmi. Restavo senza mettere cibo in bocca anche per due giorni di fila.

Mio padre, la sera che mi ha trovato in quel vicolo, la prima cosa che ha fatto è stato portarmi in un fastfood e mettermi davanti un cheeseburger che era il doppio della mia testa. L'avevo mangiato tutto in cinque minuti.

Adesso, a quasi ventidue anni, quelle brutte sensazioni sono sparite. Mi sento pieno e vivo di un mucchio di sensazioni positive. Ho il football, la mia quasi laurea, una famiglia che mi ama, dei veri amici e una ragazza favolosa al mio fianco. Audrey è stata la chiave di tutto. Ha spento tutti i miei tormenti. Ha fatto sparire gli incubi. Prima i miei genitori quando mi hanno salvato, poi l'amore che provo per lei, mi hanno aggiustato.

Hanno rimesso assieme i miei pezzi rotti.

Siamo negli spogliatoio e anche se abbiamo pareggiato, festeggiamo lo stesso perché siamo riusciti a superare questa partita e ora dobbiamo solo pensare ai playoff. La strada è ancora lunga, ma la squadra non è mai stata così unita come oggi. Nonostante le difficoltà, ci siamo sostenuti e mi hanno coperto le spalle. Trevor si è preso due belle botte pur di proteggermi. Lo stesso hanno fatto Ethan e Dylan.

Prendo le teste dei miei due amici e le avvicino alla mia. <<Grazie, cazzoni>>, dico con il sorriso. Sono riuscito ad arrivare a quella linea di meta solo perché mi hanno spalancato un corridoio immenso pur di non farmi buttare giù. Sono stati spettacolari.

<<Ci sei mancato, cazzo>>, dice Ethan tirandomi una pacca sulla nuca.

<<Non c'è di che, fratello>>, risponde Dylan facendomi l'occhiolino.

Qualcuno si schiarisce la voce alle nostre spalle. <<Niente abbraccio per me?>>, protesta Micah con il broncio.

Io e i miei coinquilini ci guardiamo e ci diamo il segnale. Tre secondi dopo, Micah si ritrova sotto la doccia con la divisa ancora addosso a brontolare. <<Cazzo, siete tre bambini!>>.

Ridiamo e ci battiamo il cinque. <<Dai, se ti sbrighi ti offro la cena>>, gli dico.

<<Come minimo>>, borbotta uscendo dalla doccia, gocciolando per tutto lo spogliatoio.

Dieci minuti dopo usciamo dallo stadio e ci fermiamo per fare foto e qualche autografo. Vengo fermato da un paio di giornalisti sportivi che mi chiedono come è stato il mio rientro e se ora sto bene dopo l'incidente. Rilascio una piccola intervista anche se l'attenzione dei media non mi è mai piaciuta e poi mi dileguo dalla folla.

Cerchiamo un posto dove cenare e veniamo raggiunti da alcuni compagni. Dylan si tasta le tasche. <<Merda, ho lasciato le sigarette in spogliatoio. Devo andare a comprarmele subito>>.

Alzo gli occhi al cielo. <<Andiamo, ti accompagno io. Anche se sono dell'idea che dovresti proprio smettere>>.

<<Hai ragione, mamma>>, brontola.

Lasciamo la squadra a prendere posto, mentre io e Dylan cerchiamo un posto dove comprare quella schifezza che gli piace fumare. Mentre lo aspetto fuori da un mini market, mi appoggio al muro alle mie spalle e osservo la gente che mi passa attorno. Il mio pensiero vola a casa e mi ritrovo a nascondere un sorriso. Ora vorrei solo essere lì, con la mia ragazza.

Mando un rapido messaggio ad Audrey anche se so che sta lavorando. Non ho ancora avuto occasione di parlarle.

DAMON: HAI VISTO? SONO USCITO TUTTO INTERO DAL CAMPO E HO PURE FATTO UN TOUCHDOWN, BABY. LA TUA SERATA COME PROCEDE? NOI STIAMO ANDANDO A CENA. MI MANCHI.

Ovviamente non ricevo nessuna risposta immediata, perciò rinfilo il telefono nella tasca dei jeans e aspetto Dylan che ci sta mettendo una eternità.

Mentre vago con lo sguardo, una chioma bionda dall'altra parte della strada, attira la mia attenzione e mi sento raggelare. No, non può essere. Mi stacco dal muro e mi faccio largo tra le persone che camminano nel marciapiedi per guardare meglio.

Cazzo, non può essere.

Attraverso la strada e mi metto a rincorrere quella chioma bionda. Accelero e scanso le persone che vanno nella direzione opposta alla mia, scontrandomi con qualche spallata.

<<Scusate>>, ripeto più volte.

Ho il cuore che salta fuori dal petto e sto letteralmente tremando. Perché cazzo, non ci credo. Ho bisogno di vedere con i miei occhi che non è affatto lei.

La persona che sto seguendo si blocca per rispondere al telefono e mi da il tempo di osservarla bene. Non mi sbagliavo. È proprio lei. Invecchiata di ben quindici anni, con qualche ruga attorno agli occhi vivi e dall'aspetto ben curato. Sembra in ottima forma e non è più il fantasma di un tempo.

La persona davanti a me è in salute e sobria.

La raggiungo, incapace di fermarmi. Ho bisogno di parlarle. Ho bisogno di vedere da vicino che mi sbaglio, che la persona che ricordo del mio passato esiste ancora. Perché l'idea che sia tornata in sé e non mi abbia mai cercato, mi manda fuori di testa.

Mi blocco ad un passo dalle sue spalle. Trattengo il respiro e aspetto che si volti. Passano alcuni secondi in qui non succede nulla. Aspetto. E aspetto.

Si volta e il mondo mi crolla addosso. <<Mamma?>>. La persona che abita i miei incubi da quindici anni, è proprio qui, davanti a me.

Si porta una mano alla bocca e il telefono cade in mezzo a noi, ai nostri piedi. <<Damon?>>, domanda quella stessa voce roca che ricordo bene. <<Oh, mio Dio! Sei tu?>>.

Faccio un passo indietro, inebetito. No, questa che è di fronte a me non è mia madre. Lei era perennemente strafatta, a malapena si reggeva in piedi. Mi riempiva di insulti. Lei mi odiava. Invece la persona che è di fronte a me, è presente. Lucida. E mi guarda con affetto.

Scappo, corro via dal mio incubo peggiore. Merda. Sto per impazzire. Sono fuori di me.

La sensazione di calma che mi ha accompagnato per tutto il giorno, sparisce e viene nuovamente rimpiazzata da quelle vocine infide nella mia testa. Torno ad essere di nuovo quel bambino spaurito nel vicolo, quel bambino insicuro che aveva smesso di parlare.

Ho bisogno di spegnere queste cazzo di voci! Non ce la faccio.

Mi tiro i capelli e mi guardo attorno. Una insegna luminosa attira la mia attenzione: "Bar aperto 24 ore". Mi ci fiondo dentro e metto a tacere tutte quelle voci.

QUALCUNO COME TEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora