53. Damon

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Tante volte uno deve lottare così duramente 

per la vita che non ha il tempo di viverla. 

(C. Bukowski) 


Sto impazzendo.

Dalla sera in cui ho rivisto la mia madre biologica, tutto il mio mondo si è sgretolato come briciole di pane fra le mie dita.

È scattato qualcosa nel mio cervello che ha alimentato il bisogno di scappare e di isolarmi. Nascondere la mia fragilità e la mia debolezza mi ha impedito di affogare nei miei pensieri nelle ultime quarantotto ore.

L'unica cosa di cui mi pento è di ferire Audrey. Lei è tutto il mio fottuto mondo, ma tenerla alla larga da me è ciò di cui ho bisogno in questo momento. Non voglio trascinarla nel disastro in cui è la mia mente ora. Non se lo merita.

Come so che non si merita nemmeno il mio silenzio. La mia crudeltà. Mi si spezza il cuore al pensiero di come l'ho lasciata qualche ora fa. Era a pezzi tanto quanto me. Anche sotto quelle occhiaie profonde e quei due pozzi oscuri, resta sempre da togliere il fiato. La amo con tutto me stesso e questo non cambierà mai.

Più la allontano più vorrei stringerla.

Più la tratto male più vorrei dirle che la amo.

Più le dico di lasciarmi stare, più vorrei che restasse.

Che mi trattenesse con sé. Una sua parola e potrei scalare l'Everest a mani nude.

Non sono stato capace di niente di tutto ciò però. Non sono riuscito a condividere un po' del peso che mi sta trascinando sempre più a fondo ad ogni doloroso respiro. Non ce l'ho fatta. Non l'ho nemmeno guardata negli occhi pieni di lacrime per paura di crollare davanti a lei. Non voglio veda questo lato di me.

Così ho preparato la valigia in fretta e furia, ho chiamato mia madre per avvisarla che sto arrivando e ho prenotato l'aereo sulla quale sono in questo preciso istante.

Non ho detto a nessuno dove sto andando. Ho spento il telefono e ho allontanato tutti quanti. Sto andando dalla mia famiglia solo perché ho bisogno di parlare con mio padre della faccenda. Voglio che mi guardi in faccia e che mi dica che lui non sa nulla di questa storia.

Altrimenti non potrei mai perdonargli di avermi nascosto per anni che la mia madre biologica è sobria e sana. Non sarei capace di reggere il colpo.

Sospiro e guardo il posto libero accanto al mio. Vorrei che Audrey fosse qui con me in questo momento. So che mi avrebbe seguito senza battere ciglio se glielo avessi chiesto, ma è una cosa che devo affrontare da solo.

La hostess viene a chiedermi se voglio qualcosa per la decima volta da quando siamo partiti. Non sono passate inosservate le sue piccole mosse seduttive nei miei confronti. Sbattere di ciglia, tette in fuori e il continuo giocherellare con le ciocche bionde dei capelli. Non potrebbe importarmi di lei nemmeno se fosse nuda.

Ho già il cuore che trabocca di Audrey. Non ho bisogno d'altro.

<<No e per favore, la smetta di chiedermelo>>, borbotto infastidito.

Mi infilo le cuffiette e mi calco il cappuccio della felpa sulla testa. La hostess sbuffa stizzita e se ne va ad importunare qualche altro passeggero. So di essere attraente e di attirare l'attenzione del genere femminile, ma non me ne frega niente. Nel mio cuore, nella mia testa c'è una sola persona da due anni.

Ore dopo, quando l'aereo finalmente atterra, mi ritrovo nel resort dei miei genitori in questa meravigliosa meta caraibica. Ho trascorso parte della mia adolescenza in questo posto. Anche se non è casa mia, mi era mancato.

I miei hanno ereditato questo posto e ci ho passato qui tutte le estati. Mio padre, che è un avvocato, ha lasciato gestire questo posto ad altre persone in sua assenza. Ora che è andato in pensione, si sta godendo questo paradiso assieme a mia madre. Hanno venduto la nostra villetta in un quartiere per famiglie e si sono trasferiti qui.

Hanno mandato un collaboratore dell'albergo per venirmi a prende dall'aeroporto e sto fremendo all'idea di vedere i miei genitori. Quindi la prima cosa che faccio quando arrivo al resort, mi precipito nell'ufficio di mio padre.

Mi sbatto la porta alle spalle. Lui, seduto dietro la scrivania, solleva subito lo sguardo. <<Lo sapevi?>>, dico senza tante cerimonie.

Aggrotta le sopracciglia. <<Damon, che ci fai qui?>>, dice alzandosi in piedi.

<<Rispondi>>, ringhio.

<<Sapevo che cosa?>>, chiede confuso.

<<Della mia madre biologica>>. Sussulta dopo la mia rivelazione.

Fa il giro della scrivania e mi si para di fronte. <<Dipende di cosa stiamo parlando>>.

Stringo i pugni lungo i fianchi. <<L'ho vista>>.

Sbianca e si porta una mano alla bocca. <<Forse dovremmo avere questa conversazione davanti a tua madre>>.

Gli blocco il passaggio. <<Lo sapevi che è sobria?>>.

Scuote la testa. <<Vado a chiamare tua madre>>.

Lo blocco per il braccio. <<Rispondimi>>, dico con un filo di voce.

La porta si apre ed entra mia madre. Il sorriso le muore sulle labbra. <<Che succede?>>.

Mio padre sospira e indica il divano con un cenno della testa. <<Forse è meglio se ci sediamo e ne parliamo con calma>>.

I miei si siedono mentre io resto in piedi, con l'aria incazzata. <<Parla>>, lo intimo.

Mia madre gli prende la mano fra le sue. <<La notte che ti ho trovato, ho chiesto ai medici di trasferire la tua madre biologica in una clinica per disintossicarsi. Ha accettato una volta che ha ripreso i sensi e per settimane è stata ricoverata. Una sera però, tre mesi dopo, sono stato chiamato dalla struttura che la ospitava dicendomi che era scappata. Non ho più avuto sue notizie da allora>>.

Mi sgonfio come un palloncino. Tutta la rabbia evapora via. <<Perché non me lo hai mai detto?>>.

<<Perché non volevo sapessi che avevamo perso le sue tracce. Ho assunto anche un investigatore privato, ma non è saltato fuori niente. Credo abbia cambiato identità per non farsi trovare>>, mi spiega.

Crollo a sedere nella poltrona davanti alla sua sedia. Mi prendo la testa fra le mani e faccio dei lunghi respiri profondi per cercare di calmare i miei nervi. Ho tutte le emozioni in subbuglio dentro di me.

Mi alzo di scatto. <<Vado a sistemarmi>>, dico senza riuscire a guardarli.

<<Damon!>>, mi richiama mia madre.

La ignoro e scappo via. Non riesco ad affrontare nessuno in questo momento. Voglio stare da solo. La tentazione di chiamare Audrey è sempre più forte, ma resisto.

Resisto per i successivi due giorni.

QUALCUNO COME TEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora