Capitolo 5

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Dopo il pranzo in uno degli agriturismi che mi ha suggerito Manuela, chiacchiero con i gestori, che mi suggeriscono un breve trekking che porta fino ad un punto panoramico da cui si vede il mare.

Senza pensarci, prendo il telefono e qui, dove tutto sembra perfetto, chiamo Ludovica.

«Io comunque non mi capacito di come ti possano odiare. Cioè, capisco che tu sia un'ossessiva con manie di controllo, un po' maestrina sul lavoro, puntigliosa e menosetta, ma sei anche la persona più dolce e buona che io conosca. Dopo queste settimane, avrebbero dovuto vedere oltre la scorza noiosa e ruvida e ti avrebbero dovuta conoscere».

«Il punto è che non mi vogliono conoscere e il mio brillante piano di far partire la mia vita sociale da qualche collega è naufragato», dico con un filo di malinconia. «Sono quasi nove settimane che sono qui e, a parte la barista, zero persone con cui fare cose».

«Io te l'avevo detto, dovevi approcciare con quei ragazzi», cerca di alleggerire i toni della telefonata lanciandomi una frecciatina.

«Sì, lo so, forse avevi ragione, ma io non sono te. Io non riesco ad attaccare bottone così, dal nulla».

«Dai, hai Manuela, prendi lei come punto di partenza».

«Sì, è carina, ma non posso attaccarmi a lei come una cozza, sembrerei disperata. Se poi aggiungi che tra questo progetto e i clienti di Milano non faccio altro che lavorare. La mia vita qui fa schifo», sento la voce che inizia a tremarmi.

«Becca, piantala. Adesso vedi tutto nero, sei stanca e le cose non stanno andando come avevi programmato. Per una precisina come te questo non deve essere facile», nonostante le parole siano molto dirette, il suo tono è dolce e in qualche modo mi rasserena. «Sono passate solo poche settimane. Datti tempo. Non puoi avere tutto e subito. Le cose si sistemeranno da sole.»

«Nove settimane non sono poche Ludo!»

«Non focalizzarti sulle cose brutte, ma su quelle belle. Le colline sono molto meglio del cemento, riesci ad andare a correre, cosa che a Milano spesso trascuravi e sappiamo tutte e due quanto adori fare sport. Hai una casa meravigliosa e ben esposta, dove non ti muoiono le piante... e non avevi rubato una rivista a un figo pazzesco?»

«Dimentico sempre come riesci a riportare ogni conversazione sui ragazzi», e a farmi tornare sempre il sorriso. «Il bel ragazzo a cui ho involontariamente rubato a rivista, e sottolineo involontariamente, si chiama Federico, fa il medico, ha gli occhi verdi e quando sorride gli si formano delle fantastiche fossette sulle guance».

«Eccolo, visto che c'era».

«Ehi sì che c'era. Peccato non ci sia più. Non l'ho più rivisto. Posso solo sperare che il destino me lo faccia incontrare di nuovo.»

«Sì sì, tu e le tue idee sul destino», mi rimprovera. «Il destino non esiste, ma ce lo creiamo noi! Quando lo imparerai? Devi trovare una strategia. Cosa ne so, iscriverti in palestra, frequentare il bar dove l'hai visto, tampinare il tabacchino dove ha comprato quel cavolo di giornale. Scrivi il tuo cazzo di destino».

«Non è da sfigati fare appostamenti?» Mi lamento.

«In guerra combatti con le armi che hai», fa una lunga pausa e poi aggiunge: «Se al bar non lo vedi più, cambia strategia. Hai detto che questo posto ha una sola pizzeria, prova a frequentarla un po' di più, magari lo incontri. Tutti mangiano la pizza e se lavora in ospedale avrà poco tempo per cucinare. Se non lo incontri, sarai diventata amica del pizzaiolo. Il piano adesso è godersi questa nuova avventura e non dedicarla solo al lavoro. Quindi Becca, rimboccati le maniche e vai a conoscere qualcuno del paese».

* * * *

Dopo un weekend di relax e riflessione sulle parole di Ludovica, ricomincia la settimana e, per la prima volta la direttrice non c'è, quindi a pranzo mi trovo al tavolo da sola.

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