Capitolo 3

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Oggi è il primo giorno di lavoro e devo incontrare la direttrice in tarda mattinata. Come da rituale, prima di ogni nuovo incarico mi concedo una colazione a base di caffeina e zuccheri.

Entro in un bar che sembra decisamente quello giusto. La barista è sorridente, la musica è quella che concilia l'avvio di giornata con il piede giusto e su un tavolino vedo una copia dell'Internazionale. È l'ultimo numero e lo so perché lo dovrò comprare in formato digitale: pare che l'edicola del paese ne prenda una copia sola e io questa settimana non sono stata la fortunata che se l'è accaparrata. Senza troppe cerimonie mi siedo e inizio a sfogliarla,; leggo avida l'indice, finché qualcuno tossisce alle mie spalle.

«Eh ehm», sento dietro di me, ma ignoro il brusio cercando di isolarmi nelle lettura.

«Signorina, scusi», insiste l'uomo dietro di me.

Mi giro pronta, cercando di capire il perché di così tanta attenzione nei miei confronti, ma rimango impietrita. L'essere umano più bello che avessi mai visto mi stava fissando ed era visibilmente scocciato. Le braccia incrociate mettevano in risalto i muscoli sotto l'abito da sartoria, gli occhi erano ridotti a due fessure, ma si potevano intravedere delle magnifiche iridi verdi, il viso pulito senza barba un po' tirato, ma il tutto incorniciato da corti capelli biondi.

Un angelo, o forse un principe, incazzato. Chi lo sa. Chiunque fosse il ragazzo davanti a me, mi aveva ammutolita e ammaliata. Era davvero un essere umano meraviglioso.

«Signorina», interrompe i miei pensieri sognanti, «perché mi sta fissando?»

«In realtà è lei che mi sta interrompendo». Rispondo. «Io sto aspettando di fare colazione».

«Questo lo vedo, ma lei sta cercando di fare colazione sul mio tavolo!»

«Come?» E mentre lo dico realizzo quello che è successo. Sulla sedia c'erano nascosti una moleskine, delle chiavi e un paio di occhiali da sole. Non è lui che mi ha interrotto, sono io che gli ho rubato il tavolo.

«Oddio mi scusi!» Mi alzo di scatto. «Non mi ero proprio accorta».

Sento il viso andare a fuoco e la cosa peggiora notevolmente quando ai lati delle labbra compaiono delle bellissime fossette.

Senza rispondere sorride; il suo sguardo è così inteso che non lo riesco a sostenere, le mie narici si riempiono del suo profumo e il mio cervello ha dimenticato come connettere i neuroni.

«Mi scusi.» Balbetto guardandomi le scarpe. «Ero così felice di aver trovato l'ultimo numero che non ho resistito! L'edicola ne prende solo una copia e non sono riuscita ad averla questa settimana» .

«Ah sì, immagino, la prendono solo per me». Eccolo, dovrò fargli la guerra. Ma se fargli la guerra significasse vederlo più spesso, che guerra sia.

«Di passaggio o nuova in paese?» Mi chiede regalandomi un secondo sorriso da tachicardia.

«Eh sì, nuova», dico sentendo il mio viso in fiamme.

«Io devo correre al lavoro, ma sono certo che ci rivedremo». Dice mentre mi fa l'occhiolino. «Tenga la rivista come regalo di benvenuto.» E mi lascia così, senza il tempo di salutarlo o ringraziarlo.

Mi siedo cercando di ricompormi e, soprattutto, di riportare i miei battiti ad un ritmo normale. Ancora un po' e sarei stata a rischio infarto. Alla mia lista mentale, per cui questo diventerà il mio bar di fiducia, aggiungo lui: il ragazzo più bello che abbia mai visto.

Ad interrompere i miei pensieri sognanti questa volta è la barista.

«Buongiorno, cosa ti porto?»

«Buongiorno, cappuccio e brioches per cortesia».

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