Capitolo 23

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Ho appena finito di sistemare la scrivania quando entra la direttrice. È elegantissima, come al solito.

«Buongiorno Rebecca, come va?» Sorride. In questi mesi ho potuto conoscere bene le sue espressioni e quello che mi sta regalando oggi è un sorriso sincero.

«Bene grazie, tutto un po' malinconico. Non pensavo lo avrei detto, ma mi mancherà questa scrivania».

Sono sincera. Quando tutto è cominciato odiavo questa scrivania e soprattutto odiavo il comportamento che tutti avevano con me. Sembravo il nemico. C'è voluto tempo, conquiste prima piccole e poi sempre più grandi, fatica, compromessi. Mano a mano che i risultati del lavoro iniziavano a farsi strada, anche i colleghi erano sempre meno ostili fino alla situazione attuale, dove la maggior parte mi tollera e qualcuno mi vuole addirittura bene.

«Non è stato facile, lo so. Dovevo avvertirla, ma se le avessi spiegato tutto, lei non sarebbe mai venuta».

«Forse no, non lo so, non saprei».

«Comunque grazie. Ha fatto davvero un ottimo lavoro. Con il suo contributo siamo riusciti a sistemare molte cose che non funzionavano, implementare dei segmenti che pensavo sarebbero rimasti sempre fermi, è riuscita a realizzare il sogno del negozio, ma soprattutto pare che non dovremmo essere assorbiti da altri». Sorrido, credo per la prima volta nell'ultima settimana, alle parole sincere della direzione.

«Grazie davvero signorina Rebecca, quello che lei ha fatto è stato notevole».

«Ha ragione, è stato un inizio complicato, ma poi ce l'abbiamo fatta!»

«La passione che ho visto in lei non la vedevo da molto. Non la perda, non è da tutti».

«Grazie per le belle parole, per me valgono tanto».

«Il prossimo incarico dove la porterà?»

«Torno a Milano, riprendo il lavoro da dove lo ho lasciato. Con il mio socio continueremo a lavorare come consulenti, ma credo che per un po' non mi sposterò troppo. C'era una mezza idea di espandersi anche fuori dalla Lombardia, però dopo quest'esperienza non so se avrò la forza per altri traslochi».

«Beh signorina, sappia che il suo lavoro è davvero prezioso e io ho parlato molto bene con colleghi qui in giro che sarebbero molto felici di averla come consulente».

«È molto gentile da parte sua, davvero.»

Successivamente mi consegna un piccolo pacchetto e, con il rigore che la contraddistingue, mi stringe la mano ed esce dalla stanza.

* * * *

B: Fra due giorni parto. Mi farebbe piacere salutarti. Non può essere stata quella la nostra ultima conversazione. Ti prego.

* * * *

B: So che sei arrabbiato e ne hai tutte le ragioni. Domani è il mio ultimo giorno qui. Volevo fare una festa di addio, ma tra trasloco e tutto il resto non sono riuscita. Quindi ho invitato tutti per un addio al bar.

B: Il bar è stato il mio luogo in questi mesi. Quindi io sarò lì, te lo dico per correttezza. So che non mi vuoi vedere, l'ho capito. Ma domani sera sarò lì. Mi farebbe piacere se ci fossi anche tu.

* * * *

Al bar passano un sacco di persone: colleghi della Fondazione Viridis, Federico (che a quanto pare si è fidanzato con una collega medico), il mio padrone di casa, gli amici del bar. Tutti quelli che sono stati la mia famiglia in questo anno.

«Mi ha chiesto di fare il suo turno», dice Manuela.

«Immaginavo», non riesco a nascondere la tristezza. «Gli ho scritto che sarei venuta qui per l'ultima bicchierata e ha deciso così».

«Hai fatto bene a dirglielo, è arrabbiato, ma vedrai che capirà. Prima o poi gli passerà».

«Mi sarebbe piaciuto gli passasse prima della mia partenza».

«Lo so», e prima che possa aggiungere qualcosa, mi sento stretta in un abbraccio. Le mie amiche, le mie sorelle, le mie persone di questo luogo mi stringono in uno degli abbracci più belli della mia vita.

«Ragazze, comunque non è un addio. Sono a qualche centinaio di chilometri. Tornerò presto a trovarvi. Siete state meravigliose. Siete state il mio porto sicuro».

«Non ci siamo fatti mancare niente», mi dice Cecilia.

«Pare proprio di no».

Guardandomi intorno mi rendo conto che in questi mesi ho costruito qualcosa: nel nulla, su un terreno senza fondamenta sono riuscita a costruire una casa, una famiglia.

Mi sono messa alla prova, ho combattuto e ho vinto: gli sforzi non sono stati vani, i sacrifici sono stati ripagati e le persone, ancora una volta, mi hanno sorpreso.

Rimaniamo le ultime, sedute sul bancone ubriache a ricordare tutti i momenti migliori che abbiamo condiviso.

«Dobbiamo brindare a noi, ma questo è l'ultimo», dice Elenia scendendo in maniera ben poco femminile dal bancone.

Armeggia con una bottiglia di amaro e ci raggiunge con quattro bicchierini; dietro di noi sento la porta che si apre e, appena mi volto, il mio cuore salta un battito.

* * * *

«Noi andiamo», dice Cecilia. «È stata una serata meravigliosa».

Io sono ancora immobile che guardo Neil fermo all'ingresso del bar.

«Lo abbiamo chiamato noi», dice Manuela. «Ci avete regalato una favola, vi meritate un finale migliore».

«Grazie per essere venuto».

«Se non fossi passato me l'avrebbero fatta pagare per mesi. Del resto io rimarrò, non avevo scelta».

«Mi spiace».

«Anche a me».

Mi avvicino e le mie narici si riempiono di nuovo del suo profumo. Dio quanto mi era mancato questo profumo.

Lui sta fermo, senza dire nulla, ma ignoro tutti i messaggi non verbali che mi invia e continuo ad avvicinarmi, finché i nostri corpi si sfiorano.

«Sei sempre stato tu. Ti amo» gli sussurro sulle labbra e poi poso la testa sul suo petto, lì dove batte il cuore, e lo stringo forte come per voler fermare qualcosa che sta scappando.

Non riesco a vedere i suoi occhi, ma sono certa che non c'è segno delle sue gioiose pagliuzze dorate. Anzi, sento lacrime provenire dal suo collo.

«Neil», cerco di incrociare il suo sguardo allontanandomi dal suo petto. Niente. «Neil parlami!»

«È tardi».

Sfinita faccio un ultimo tentativo. Mi allontano dal suo cuore e lo bacio.

Lui non risponde, ma io insisto.

Insisto fino ad ottenere il nostro ultimo vero bacio. Le nostre bocche combattono una guerra invisibile carica di rabbia, amore, parole non dette, passione.

Questo bacio racchiude tutto.

«Addio Becca». Sussurra staccandosi quasi scottato. «È ora che tu vada».

Le sue parole sono lame invisibili.

Mi fermo a fissarlo, i nostri occhi parlano per qualche istante. Leggo la sua delusione, la tristezza, il dolore e la rabbia che prova. Mi sposto perché i suoi occhi sono una spada dritta nel ventre, le lacrime hanno già iniziato a rigare le mie guance quando le sue mani si allontanano dal mio viso.

Devo rispettare i suoi sentimenti. Alla fine è colpa mia se sta soffrendo.

«Addio Neil», dico, e lascio il bar.

Finisce così, l'odio che si è trasformato in amicizia. L'amicizia che si è trasformata in amore. La favola che tutte le ragazze sognano, anche se questa favola ha il peggior finale di sempre.

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