Capitolo 8

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Ludovica gira meravigliata per la mansarda.

«Becca, questa casa è bellissima», urla da una stanza all'altra. «A Milano una cosa così non la trovi neanche per 1.500 euro al mese. Non ti permetto più di lamentarti del posto dove vivi. Questa, in confronto al cubicolo dove abito io è una vera e propria reggia».

«Infatti io non mi sono mai lamentata dell'appartamento», specifico.

La trovo che salta sul letto degli ospiti e con il fiatone aggiunge: «Ti rendi conto che hai anche una stanza degli ospiti?».

«Se continui a saltare così, non so per quanto ancora ne avrò una!» La rimprovero. «Piuttosto, cosa vorresti fare durante il weekend?»

«Io di solito non programmo come te», frecciatina, «ma ammetto che mi piacerebbe conoscere il bel dottore di cui ho tanto sentito nominare».

«Anche a me», sospiro. «Ma se non troviamo lui qualsiasi persona andrà bene. Sono al punto dove ho bisogno di farmi degli amici. Punto. Sono due mesi che me ne sto rinchiusa qui a lavorare: bella la mansarda, hai ragione, ma sono stanca di stare sola. Il mio bisogno di socialità sta diventando più forte del mio odio verso il genere umano».

«Bentornata Becca», urla mentre mi butta le braccia al collo, «finalmente ti riconosco! L'influenza di Giorgio finalmente ti ha abbandonato!»

«Ho come la percezione che tu lo odi più di me».

«È diverso, lo odio da più di te». Ride e mi abbraccia.

Dopo altre chiacchiere, aggiornamenti e una moderata quantità di vino, ci prepariamo per uscire.

«Andremo a fare aperitivo nel bar di cui ti ho parlato. In realtà il pomeriggio non ci sono mai stata, ma pare che sia l'unico bar frequentato».

«Ottimo!» dice lei entusiasta.

«Ok, ma frena l'entusiasmo. C'è anche questo tipo che ci lavora dentro. Un marpione un po' fastidioso. Non farci caso. Basta che lo ignoriamo».

«Appunto mentale: ignorare il lurido marpione», dice la mia amica fingendo di scrivere a mezz'aria. «Fatto!»

Come da previsione il bar è strapieno, ma appena entriamo la porta a vetri scricchiola e, come nei film, tutto attorno a noi si ferma.

Per fortuna a salvarci dall'imbarazzo ci pensa Neil che ci saluta, sbraccia e ci chiama. La gente ritorna a fare le sue cose e ci crea un varco per passare.

«Giuro che non ti ho rotto la porta», dico veloce al barista. Neil ignora le mie parole, si avvicina e mi saluta accompagnandosi con un lieve bacio sulla guancia.

«Sono felice che tu, o meglio voi, abbiate deciso di venire qui», dice Neil regalando alla mia amica uno dei suoi sorrisi migliori.

«Cos'è tutta questa confidenza?» Lo guardo in cagnesco.

«Non avevamo deciso che eravamo amici?»

«Certo, ma non amici che si baciano».

«Io non ti ho baciato, ti ho salutato. Ma se vuoi rimedio...» le sue labbra si avvicinano pericolosamente alle mie. Faccio un salto indietro e mi scanso. So che sta scherzando, glielo leggo negli occhi, ma il mio corpo reagisce immediatamente alla sua vicinanza.

«Hai ragione. Tregua. Te lo avevo promesso». Mi guarda per qualche secondo con uno sguardo che fatico a decifrare, poi come al solito mi sorprende, si gira e rivolgendosi a Ludovica dice: «Perdonami, sono stato un cafone. Non mi sono presentato. Piacere, io sono Neil. L'unico amico di Rebecca».

Lo sguardo perplesso della mia amica saltella tra me e Neil.

«Pensavo non avesse amici», sentenzia alla fine.

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