Parte quarta-Ginevra-Capitolo 1

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Era arrivata l'estate, portando un caldo afoso che appiccicava i vestiti al corpo e lasciava spossati, con lo smog che ti entrava nelle narici, facendoti tossire. Improvvisi arrivavano i temporali, rinfrescando l'aria ma non togliendo la sensazione di umidita, che continuava a restare incollata addosso. Giovanni odiava le estati afose di Boston; erano ormai tre anni che le doveva subire, tre anni in cui stare chiuso dentro una sala insonorizzata, provando fino allo sfinimento, fino a che i polpastrelli non gli sanguinavano, era la sua unica distrazione. Non aveva stretto molte amicizie, i colleghi d'accademia lo guardavano con sufficienza: all'inizio era solo l'italiano arrivato a rubare loro il mestiere e quando avevavo capito che avesse più talento di tutti loro messi assieme, era subentrata l'invidia, che li teneva a distanza. A lui non importava molto, era abituato alla solitudine che lo accompagnava da sempre e non se ne faceva un cruccio, il suo unico obiettivo era diventare il più bravo. E ci stava riuscendo, lavorando senza sosta. Tutte le mattine prima di andare in accademia, passava alla caffetteria Vittoria, dove faceva colazione e dove gli sembrava di riappropriarsi del profumo dell'Italia. Ogni mattina, davanti al suo cappuccino e brioche, non poteva non pensare a Giulia. Ormai il suo volto iniziava a perdere il contorno definito e sfumava in un ricordo confuso. Gli rimaneva di lei solo il sorriso, quello dolce e dedicato solo a lui, che l'aveva conquistato. Sapeva di amarla, o di aver creduto che fosse così, ma era anche convinto che lasciarla fosse stata la cosa giusta. Lei era sicuramente andata avanti con la sua vita e forse neanche più pensava a lui. Non aveva più guardato nessuna ragazza con interesse, in quegli anni aveva serbato il suo ricordo e quei baci che si erano dati erano bastati a riempire la sua anima. Da circa un mese c'era una nuova cameriera a servirlo, aveva notato che cercava sempre di avvicinarsi per prima al suo tavolo e bisbigliava alle colleghe perché non la ostacolassero. Lui sorrideva, fingendo di non accorgersene, ma in fondo non gli dispiaceva quell'interesse. Portava il nome stampato sulla divisa, Ginevra, e si era chiesto se fosse italiana come lui. Aveva un curioso accento e un giorno si era deciso a scoprire se fosse così.

"Posso avere del latte freddo, per favore?" Si era rivolto a lei in italiano e la ragazza si era voltata, accennando un sorriso.

"È troppo caldo il cappuccino di Joe, glielo dico sempre che i clienti si lamentano." Non gli aveva dato tempo di replicare, allontanandosi e quando era tornata, aveva tra le mani il bricco del latte freddo, che aveva appoggiato sul tavolo.

"Sei italiana? Ho visto il nome sulla divisa."

"Si, sono di Perugia. Dopo la morte dei miei genitori mi sono trasferita qui, mi piacerebbe fare l'attrice. Per ora lavoro in questo locale, per mantenermi. Abito da una zia, e tu?"

Giovanni le aveva mostrato le mani rovinate dai tagli e calli.

"Musicista, studio nell'accademia a pochi isolati da qui."

Nel frattempo l'aveva osservata, era molto carina con quell'aria delicata e i capelli castano chiaro e gli occhi che tendevano al grigio. Aveva un bel sorriso e un modo curioso di arricciare il naso quando rideva, che gli aveva ricordato Giulia. L'occhiataccia della titolare l'aveva richiamata ai suoi doveri e a malincuore si era dovuta allontanare. Quando era tornata per portargli il conto, gli aveva allungato un biglietto con il suo numero di cellulare.

"Stacco alle cinque, se mi vuoi chiamare potremmo vederci dopo il lavoro."
Giovanni le aveva sorriso, forse poteva essere una buona idea avere un'amica con cui parlare e magari andare al cinema o a cena fuori. Avevano iniziato ad uscire insieme e presto la conoscenza si era trasformata in una frequentazione intensa. Ginevra era una ragazza allegra e divertente e per niente timida, era stata lei ad azzardare il primo bacio e da allora i loro approcci erano diventati sempre più audaci. Una sera si erano trovati davanti alla caffetteria e lei lo aveva trascinato dentro, aveva una copia delle chiavi e a quell'ora il locale era chiuso e tutto per loro. Nel retro, dove l'aveva condotto, c'era un letto di fortuna, un vecchio materasso e coperte pulite, visto che ogni tanto il titolare si fermava a dormire lì. Aveva incominciato a baciarlo con trasporto e quando le sue mani avevano preso a slacciargli la cintura dei pantaloni, l'aveva fermata, con decisione.

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