parte quarta-Capitolo 3

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Solleva le palpebre e le sbatte più volte al riflesso della luce.
Richiude gli occhi perché sente che non riesce ancora a tenerli aperti, è come se il suo corpo volesse ripiombare nel sonno e la chiamasse verso l'oblio.

"Tesoro è andato tutto bene, tra qualche giorno potrai tornare a casa."

Sente la voce di Magda e si sforza di sollevare nuovamente le palpebre e girare leggermente la testa.

"Ho sete."

"Mi spiace, non puoi ancora bere, è passato il dottore e si è raccomandato di non darti liquidi, ti posso bagnare le labbra se vuoi.'

Giulia annuisce e richiude gli occhi, proprio non le riesce di tenerli aperti. Sente che Magda le passa un fazzoletto umido sul labbro e allunga la lingua per bagnarsi e sentire il fresco in gola. Ha il labbro inferiore addormentato come se qualcuno le avesse dato un pugno e sente dolore alla gola quando manda giù la saliva. La parte inferiore del suo corpo non la avverte e ha paura di controllare, è sicura che troverebbe una brutta cicatrice e in questo momento è già abbastanza quello che riesce a percepire. Le hanno tolto l'utero, come ha voluto lei, via una parte del suo corpo, via il problema.
Annullata anche qualsiasi possibilità di diventare madre.
Non che ci tenesse, che razza di madre avrebbe mai potuto essere? Il terrore di poter mai essere come colei che l'aveva generata le aveva sempre fatto girare la testa e fatto venire il voltastomaco. Meglio così, estirpare il problema alla radice per non sapere, per non avere tentazioni. Una lacrima solitaria le scende lungo la guancia, maledetta anestesia che la rende fragile, aveva promesso a sé stessa che non avrebbe pianto, mai. Sente una mano sfiorarle le dita e voltandosi, cercando di mettere a fuoco il volto che si trova davanti, lo vede sorridere.

"Vedrai che quando sarai tornata a casa sarà tutto a posto. Ce ne andiamo qualche giorno in vacanza e dimentichiamo questa brutta storia." Ha gli occhi lucidi Carlo mentre le parla e non può che sentirsi avvolta dal suo affetto, per quanto alla fine si senta sola. Come ogni donna, sola davanti alla fine della propria era fertile, ancor prima di averla iniziata. Ci saranno tante soddisfazioni nella sua vita, tanti traguardi, momenti irripetibili da vivere, persone da amare, viaggi da affrontare. Eppure, quell'unica cosa che non potrà più avere le brucia come un macigno in mezzo al petto, come se un fuoco le divampasse dentro.

"Grazie, ora vorrei riposare un po', potete lasciarmi sola?"
Lo vede lo sguardo che si scambiano Magda e Carlo, eppure non dicono nulla e, dopo averle lasciato un leggero bacio sulla fronte, escono dalla stanza. Il silenzio l'avvolge e la stanza in penombra allunga il riflesso delle cose su cui posa lo sguardo, non vedendo. Chiude gli occhi perché la voglia di soccombere al sonno è tanta, ma lo sa che stanotte non dormirà, che resterà a fissare il soffitto pensando a ciò che sarebbe potuto essere. A quanto avrebbe potuto lottare facendo una scelta diversa da quella presa, a quanto il pensiero l'abbia sfiorata solo per un istante. Non è il suo destino, non è ciò che la sua storia recente le ha fatto vedere. Ha fatto ciò che era giusto, perché tanto lo sa che quella forma d'amore non potrà mai provarla, perché nessuno, fino ad ora, gliel'ha mostrata. Stringe gli occhi e serra la mascella, non piangera', non permetterà a nessun senso di colpa di schiacciarla e annientarla.
Da oggi incomincia la sua nascita al mondo, la nuova versione di sé e mentre scivola in un sonno chimico, privo di sogni e di ricordi, un paio di occhi azzurro cielo, per un istante, si fissano nella sua mente, mentre la guardano così intensamente da farle dolere il petto.

                     ****
Ancora freddo che l'avvolge, brividi lungo tutto il corpo. Le pareti spoglie, con l'intonaco che incomincia a staccarsi in alcuni punti, per l'umidità o solo per l'incuria di chi le ha tinteggiate, ormai sono il suo unico passatempo. Conosce ogni incrinatura, ogni pezzo di vernice mancante, ogni fessura. Tutti i giorni sono uguali ormai, scanditi dalla sveglia la mattina, quando i raggi del sole penetrando dalla finestra inondano i suoi occhi, svegliandola, fino a quando non sente il lucchetto che serra la porta aprirsi e vede il suo carceriere entrare, per portarle la colazione o il pranzo. Non era stato quel paradiso che le era stato prospettato, quel signore gentile che l'aveva accolta all'aeroporto con la prospettiva di farle conoscere la famiglia adottiva, si era svelato per essere un rude carceriere, che l'aveva rinchiusa dentro quella stanza, per i mesi successivi. All'inizio non aveva capito, aveva passato giorni a piangere e disperarsi, chiedendo una spiegazione e tremando per la paura ogni volta che quella porta si spalancava, fino a che non se l'era trovato davanti.
All'inizio il suo cervello si era rifiutato di realizzare, come era possibile che Giovanni fosse lì? Chi l'aveva informato che lei fosse incinta? Aveva provato a parlargli ma il primo sguardo che le aveva rivolto le aveva gelato il sangue. Era Giovanni, ma nello stesso tempo non era lui. Non c'era nessuna traccia della dolcezza con cui le si rivolgeva, della sua delicatezza. Le sue mani non erano segnate dai calli per aver pizzicato le corde del violino fino allo sfinimento, ma non si spiegava perché le dessero i brividi. Poi aveva guardato con attenzione la sua mano destra e si era accorta che aveva tutte e cinque le dita. Non era Giovanni, ma era identico a lui.
E quello sguardo che la faceva sussultare fin nel profondo e che la costringeva ad abbassare gli occhi. Presto si era accorta di quanto fosse crudele, alle volte la lasciava senza cena se lei piangeva o si lamentava troppo e una volta che aveva avuto la febbre alta, nessuno era arrivato in suo aiuto. L'avevano lasciata delirare nel suo letto fino a che non era guarita. Sembrava che a Pietro, così aveva detto di chiamarsi, importasse solo di quel bambino che portava nella pancia e che ora aveva capito le avrebbero tolto non appena fosse nato. E lei pregava tutti i giorni che fosse il più tardi possibile, perché ora il solo pensiero di staccarsi da lui la dilaniava. Era riuscita a sopportare quella prigionia solo grazie a lui, il suo bambino. Perché lo sapeva fosse un maschio, per quanto non le avessero fatto fare neanche un'ecografia, ma lei lo sentiva. Passava ore a sussurrargli, raccontandogli di quanto fosse bello il mondo che lo attendeva, mentre piangeva sommessamente. Ascoltava il suo muoversi quando gli parlava e non riusciva a pensare ad altro che presto li avrebbero separati. Aveva anche provato a fingere di stare male, per convincerli a portarla in ospedale e da lì magari riuscire a chiedere aiuto, ma nulla era accaduto.
E ora viveva con terrore il momento in cui suo figlio sarebbe nato e il fratello di Giovanni glielo avrebbe portato via. Perché ora le era chiaro che Pietro non poteva che essere il gemello del padre di suo figlio, ma con un animo così oscuro e crudele da incuterle terrore. Erano come il giorno e la notte i due fratelli e ora rimpiangeva di essere voluta scappare da lui.
L'ennesima giornata passata su un letto, ad ascoltare i movimenti del suo piccolo, particolarmente nervoso negli ultimi giorni. Forse avvertiva qualcosa, il suo stesso nervosismo o forse era pronto per venire al mondo. Lei non lo era invece e nonostante i dolori sempre più forti e le contrazioni che avvertiva, cercava di negare l'inevitabile pure a sé stessa. Così quando accadde non era pronta, non era il momento. Aveva avvertito una fitta un po' più forte e un lago d'acqua inondarla lungo le cosce. Aveva stretto i denti e asciugato tutto perché non se ne accorgessero, ma quando le contrazioni si erano fatte più dolorose e ravvicinate non aveva potuto che battere con forza i pugni sulla porta per farsi sentire.
Sperava la portassero in ospedale, magari li avrebbe potuto chiedere aiuto, ma era già tutto organizzato e un' ostetrica si era presentata per aiutarla a far nascere suo figlio, con dolore, mai così forte come la prospettiva di non poter restare accanto a lui.
Le era bastato quel loro primo sguardo, quando l'ostetrica glielo aveva appoggiato sulla pancia in un gesto di estrema compassione. Non piangeva, la osservava con due occhi calmi e placidi, di un azzurro vacuo e intenso, come a volerla rassicurare, come a dirle tranquilla mamma, ci sono io con te.
Non li avrebbe più scordati, anche avesse vissuto altre mille vite, gli stessi occhi intensi di suo padre.

                         ****

Volge lo sguardo lungo la stanza, per l'ultima volta. È stata la sua casa negli ultimi tre anni, ha passato lì quasi tutto il suo tempo e ora, una punta di nostalgia si fa strada. Si è diplomato con il massimo dei voti e un applauso di tutta la commissione. Primo violino e direttore d'orchestra a soli vent'anni. Non è passato che qualche giorno e già lo hanno voluto come direttore d'orchestra per una lunga tournée in giro per il mondo, che sarà la sua casa nei prossimi anni. Una casa errante che lo porterà a svegliarsi in un posto diverso ogni settimana. Eppure va bene così, è ciò che ha sempre desiderato.

"Hai preso tutto? Il taxi sarà qui tra pochi minuti, ti aspetto giù." Michele si affaccia nella stanza, sollevandolo dai suoi pensieri.
Annuisce smarrito e con un sospiro si solleva a sedere, il computer aperto ancora davanti a sé. Ha giusto il tempo di chiudere l'ultima valigia, quando l'arrivo di una mail attira la sua attenzione. È di Paola, ogni tanto si sentono per mettersi al corrente delle novità che li riguardano. Non può ignorarla e forse è l'occasione buona per dirle addio. La apre distrattamente e si blocca davanti allo schermo.

Ciao Giovanni,
Tutto bene?
È un po' che non mi faccio sentire, come sai qui i ragazzi assorbono completamente le mie energie. È successo un fatto strano in questi giorni, Giulia è venuta a trovarmi per chiedere di te. Ci crederai? È diventata una donna bellissima e determinata, credo che la decisione di permetterle di essere adottata sia stata la migliore mai presa, anche se dolorosa. Mi ha chiesto se hai mai domandato di lei e non ho saputo risponderle. Non so, mi è sembrata strana la sua visita, così inattesa. Volevo fartelo sapere e spero tu stia bene.
Ti abbraccio forte, Paola.

Fissa lo schermo, mentre le parole gli ballano davanti, tra le ciglia tremolante. Giulia.
Da quanto non sentiva quel nome e ora sapere che si era spinta fino a casa di Paola per chiedere di lui, gli fa battere il cuore con tale violenza che la testa gli gira. Sarebbe potuto essere diverso da come è stato? Scuote la testa, è stato giusto così, era l'unico modo. Deve solo dimenticare, non permettere che il suo ricordo lo turbi, perché lei sta bene e anche lui. Chiude il Pc di scatto e lo infila in valigia. Forse risponderà a Paola al suo arrivo nella nuova destinazione, forse non lo farà mai. E mentre volge lo sguardo per un'ultima volta ad osservare il profilo della stanza una morsa d'ansia e di qualcosa a cui non sa dare un nome, gli stringe il petto.
Addio Boston.
Addio Giulia, addio alla mia vecchia vita.

Afferra le valigie e si chiude la porta alle spalle. Un paio si occhi che lo osservano curiosi, come se volessero leggergli dentro, si stampano nella sua mente e fatica a mandarli via.
Sarà l'ultima cosa che lo legherà alla sua vecchia vita e pian piano il ricordo svanirà.
Allora, perché fa ancora così male?

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