Capitolo 2: La mia Roma

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Pov Jas

Sono in Italia.
Cazzo che strano.

Trovarmi in questo aeroporto per atterrare e non fuggire mi sembra davvero surreale considerando che l'ultima volta che sono stata qui era per volare a miglia di distanza da questa città.

Roma.
La mia Roma.

Così caotica e confusionaria, piena di gente che corre in ritardo per le strade, che a momenti ti butta giù e si incazza anche con te perché hai rovesciato per sbaglio il loro caffè sul completo nuovo.

Sento una mano toccarmi il braccio e vedo mio padre guardare incantato la città in cui ha conosciuto l'amore, in cui ha vissuto la maggior parte della sua vita, lo vedo guardare fuori con gli occhi che brillano.
Scuote la testa come per svegliarsi dai suoi pensieri e mi fa cenno di incamminarci verso le porte, dove il nostro taxi ci sta aspettando per portarci a casa.

Casa.
Ricordi d'infanzia.
Mia madre.

Sento un senso di panico assalirmi e cerco di non farmi prendere dall'ansia quando l'autista mette in moto, ci provo quando imbocchiamo nel traffico e ci provo anche quando arrivo nella via che ha visto ogni mio cambiamento. Cerco di non piangere quando l'auto si ferma, cerco di non farlo quando mio padre apre lo sportello.

Ma non ci riesco e crollo.
Crollo perché fuori quella che un tempo era casa mia ci sono Nise e Nita con in mano un mazzo di fiori a testa, crollo perché vedere mia madre ferma lì ad aspettarmi mi destabilizza.

Crollo perché lì, seduta sulla panchina dove io e Lulù ci scambiavamo i segreti, c'è Carlotta, sua madre, che tiene un cartellone in cui c'è scritto a caratteri cubitali "Piccolè, t'eri scordata la strada pe' vení qua?".

Esco dall'auto con il cuore che batte forte come non faceva da anni, e corro verso le braccia che mi hanno vista in ogni mia sfaccettatura.

Anita e Denise mi vengono incontro e mi stringono così forte da farmi mancare il fiato, piangiamo come le tre bambine che eravamo quando ci siamo conosciute e restiamo per un po', l'una tra le braccia dell'altra.

Mi allontano, vado verso mia madre e abbraccio anche lei perché nonostante l'arrabbiatura e nonostante ciò che mi ha fatto, lei rimarrà per sempre la mia mamma.

Lascio Carlotta per ultima e nel momento in cui avvolge le sue braccia intorno al mio corpo inizio a singhiozzare rumorosamente. Lei mi accarezza i capelli e mi sembra di star stringendo Ludovica.

Non diciamo niente, nemmeno una parola. Sigilliamo in quell'abbraccio tutto ciò che non ci siamo dette in questi anni, sigilliamo il rapporto che io avrei voluto avere con mia madre e che lei non può più avere con sua figlia, sigilliamo li tutte le nostre scuse per non esserci più sentite. Carlotta mi abbraccia come se, ora che sono qui, fosse tornata a respirare, ed io da parte mia mi rendo conto che con lei vicino mi sento un po' meno spaventata.

Staccandomi da lei vedo mio padre sorridere alla scena, saluta con una cenno della mano mia madre e Totta, con un sorriso le mie amiche, e guarda verso di me come per accertarsi che sia tutto ok.

Gli rivolgo un cenno del capo per rassicurarlo, lui mi passa le valigie e rientra nel taxi promettendomi di farsi sentire più tardi per darmi il tempo di sistemarmi.

Mia madre mi lascia un bacio sulla testa e va a sedersi sulla panchina mentre Nise e Nita entrano con me in casa e mi aiutano con i bagagli.

<<Mine sono così contenta che tu sia qui>> esclama Anita mentre saliamo le scale, le rivolgo un sorriso sincero mentre Denise aggiunge <<Non abbiamo detto nulla a Luca, pensavamo fosse meglio tu gli facessi una sorpresa>>.

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