Capitolo 5. Il nostro posto.

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Pov Anita

Ricordo perfettamente il giorno in cui ci siamo conosciute. Era metà settembre e faceva ancora caldo.

Io Denise la conoscevo già, perché avevamo fatto asilo ed elementari insieme. Per questo motivo alle medie mettemmo l'una il nome dell'altra sotto la casella "preferenze" così da capitare nuovamente in classe insieme.

Era il primo giorno delle medie e ricordo che io e Nise eravamo terrorizzate dal fatto di non conoscere nessuno, perché tutti i nostri amici erano stati messi in un'altra sezione.

Ricordo anche di essermi messa all'ultimo banco vicino al muro con Nise affianco e di aver studiato tutte le facce che erano presenti in aula ma nulla, nemmeno un volto amico. Due posti erano rimasti vuoti esattamente la fila avanti la nostra ed io pensai che forse quei banchi semplicemente avanzavano perché tutti gli altri erano occupati e la campanella stava per suonare.

Dovetti ricredermi quando una testa bionda ed un caschetto moro entrarono correndo in classe qualche secondo prima del suono della campana e si buttarono letteralmente nei due banchi rimasti vuoti.

"fare ritardo il primo giorno non è proprio il massimo"  avevo pensato decisa più che mai di tenermi alla larga da quelle due ragazze che forse avrebbero potuto avere su di me una cattiva influenza.

È risaputo però che le più belle amicizie iniziano proprio così: standosi antipatiche in classe.

Il resto è storia.

Del nostro gruppo io sono sempre stata la più silenziosa, quella che cercava di limitare i danni, la più empatica. Ed è proprio per questo che mi sento terribilmente in colpa.

Non credo di aver mai capito il malessere che provava Jasmine, o per lo meno non credo di averlo mai fatto fino in fondo.

L'ho reputata una codarda a scappare in quel modo, a lasciarci vivere la sofferenza da sole. Ma una cosa di cui sono sempre stata consapevole è che nonostante tutte le sue scelte lei non è mai stata l'anello debole.

Jasmine Taghzouti è la persona più forte che io abbia mai conosciuto in vita mia. Le volte che l'ho vista piangere o crollare posso contarle sul palmo di una mano.

È sempre stata la più "fredda" tra noi a parole ma se avesse potuto ti avrebbe portato la luna.

Non ti diceva mai che ti voleva bene ma non appena avevi un problema correva da te. Non ti abbracciava spesso ma se stavi male si presentava a casa tua con una vaschetta di gelato e restava la notte nel tuo letto assicurandosi di far sparire almeno un po' del tuo dolore.

Non ho mai capito il rapporto che c'era tra lei e Ludovica, ma ho sempre aspirato a trovare qualcuno che mi completasse proprio come facevano loro.

Era come se fossero collegate da qualche forza mistica. Erano cresciute insieme e si volevano un bene che non si può nemmeno pensare di spiegare a parole.

Mine era molto più legata con lei che con noi, ma non gliene ho mai fatto una colpa. Era normale che fosse così.

Ci ripenso ora mentre a notte fonda sono affacciata alla finestra della mia camera domandomi il perché non abbiamo pensato a tutelarla un po' di più prima di parlare di un argomento che lei evidentemente non ha ancora superato.

La morte di Ludovica ci ha spiazzato tutti. Era una ragazza stupenda ed un'amica esemplare. Non aveva mai dato segni di cedimento o segnali che potessero farci pensare a quale crudo destino aveva scelto di andare incontro.

Da quando è morta ogni 22 del mese vado al cimitero e le parlo un po'. In questi quattro anni le ho sempre parlato di Mine, di quanto mi mancassero i suoi occhi azzurri e la sua piccola cicatrice che si accentuava quando aggrottava la fronte. Le ho raccontato di come dopo aver perso lei era scappata lasciandoci solamente una misera lettera.

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