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Dicono che l'azione sia nemica del pensiero.

Che quando la mente è pronta a metterti sotto scacco, devi spostare le pedine e fermare tutto ciò che ti vuole abbattere.

Ma la mia mente era più forte.
I miei pensieri erano tornadi, uragani dentro cui è impossibile salvarsi.

Mamma mi diceva che pensavo troppo.

Quella notte avevo sognato papà, di nuovo. L'avevo visto in uno degli ultimi ricordi, quegli attimi che avevo tenuto stretti al cuore.

Papà era morto 12 anni prima, durante un viaggio in aereo.

Stava attraversando l'Oceano Pacifico. Il suo volo prevedeva la partenza in America Latina e l'arrivo in Asia, in un giorno e 4 ore.

Il cielo quella mattina era limpido come le acque sotto di loro. Il sole splendeva, e riscaldava la parte occidentale della Terra.

Però l'aereo iniziò ad avere turbolenze, le prime passarono inosservate, era normale in un viaggio d'aereo, ma quelle successive gettarono i passeggeri nel panico, il personale pregò tutti di allacciarsi le cinture. Qualcuno iniziò a piangere, a farneticare preghiere e qualcun'altro più realista diceva che era arrivata la loro ora.

Il pilota perse il controllo dell'aereo.

E l'aereo precipitò dentro le acque immobili del Pacifico, risucchiando le vite di persone che meritavano di abbracciare un'altra volta le loro famiglie. Un'ultima volta. Cancellando ricordi con onde inferocite.

Molti dei corpi finirono in mare, qualcuno sarebbe riuscito a sopravvivere ma le cinture si bloccarono, l'acqua entrò nei polmoni, strinse gli occhi e annullò il fiato.

Qualcuno prima della partenza aveva scherzato dicendo:«Ci vediamo quando torno, se torno.» ma non avrebbe mai pensato che quello sarebbe stato davvero il suo ultimo viaggio. Che quelle acque che aveva tanto sognato l'avrebbero preso, e l'avrebbero privato al mondo.

Le hostess avevano fatto di tutto per aiutare i più piccoli ad infilare i salvagente, ma l'acqua li inghiottì in meno di 2 minuti, l'aereo si riempì di onde. I finestrini si ruppero e annegarono persone la cui vita aveva tanto da offrire.

I soccorsi arrivarono tardi, nessuno dei passeggeri era sopravvissuto. Non tutti i corpi furono riportati a galla.

Papà era uno di quelli.

«Papà è morto.» aveva ammesso mamma alla fine di quel racconto.

Ricordai la prima volta che mamma mi raccontò questa storia avevo 8 anni, papà era morto quando ne avevo 5. Avevo intuito che gli fosse successo qualcosa, perché mamma continuava a ripetere che l'avrei rivisto, che sarebbe tornato, che il lavoro lo teneva impegnato.

Non era mai tornato.

Alcune volte mamma diceva che andava a chiamare papà e usciva di casa per poi tornare un'ora dopo, con gli occhi rossi e uno sguardo di chi non si rassegnava.

Mamma non mi raccontò più la sua storia, quella fu la prima e l'ultima volta. Con il tempo aveva imparato a nascondere le lacrime quando si parlava di lui.

Era il suo grande, il suo primo ed ultimo amore. Lo vedevo nei suoi occhi che anche se la morte li aveva separati lei non aveva smesso di amarlo.

Let Love Destroy UsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora