3. Poliziotto incazzato, uomo sfortunato

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Era passato qualche giorno da quando avevo rivisto per l'ultima volta Pedro Pascal. Da quel momento non riuscivo più a smettere di pensare a lui. Ogni volta che passavo davanti alla centrale di polizia mi chiedevo cosa stesse facendo.

Più il tempo passava e più il desiderio di vederlo si accendeva in me, non riuscivo a smettere di spegnere questo incendio che divampava in tutto il mio corpo.

Ben presto accantonai dalla mia testa il pensiero di quell'uomo.

Finalmente era arrivato il momento che più attendevo da sempre: il primo giorno di scuola. Non era un semplice anno scolastico, ma l'ultimo di tutta la mia vita. Mancava solo un anno e poi sarei partita lontana da questa piccola cittadina, magari mi sarei trasferita nelle grandi città della costa occidentale degli Stati Uniti.

Non era male come idea e mi promisi di ripensarci in un futuro non troppo lontano. Per il momento avevo deciso che mi sarei goduta appieno l'ultimo anno di liceo.

Quel giorno arrivai come al solito in anticipo, una delle miriade di cose che odiavo al mondo era proprio quella di essere in ritardo. Amavo pianificare e rispettare gli orari. Tutto il contrario era la mia migliore amica, infatti erano le 08:25 e di lei nessuna traccia. Appoggiai la testa su una mano mentre con l'altra mossi le dita contro il banco.

La classe iniziò a riempirsi e vidi Erik Johnson, il ragazzo più amato dall'intera scuola per via del suo aspetto sempre pulito e dal suo velato sarcasmo.

Era molto popolare tra le ragazze per via dei suoi occhi chiari e dei suoi lunghi capelli biondi fini alle spalle, che gli donavano il tipico aspetto di un principe. I nostri occhi si incontrarono e lo salutai con la mano. Lui si avvicinò e si sistemo nel banco accanto al mio.

«Ciao piccola Amelia, come hai trascorso l'estate?»

«Magnificamente, ho avuto modo di fare lunghissime passeggiate il cui tragitto era dalla camera da letto alla cucina! E tu invece?»

Lui scoppiò in una sonora risata, poi prese a sistemarsi il cappello. Era un peccato nascondere quei riccioli d'oro dentro quel cappellino da baseball. Erik ci era affezionato a quel cappellino, il coach gliel'aveva regalato una volta diventato capitano della squadra del liceo.

«Viaggiare per l'Europa è stato magnifico»

«A chi non piace viaggiare?»

Ah dimenticavo, Erik era ricco sfondato. I suoi genitori erano la famiglia più influente del paese.

Charlie sospettava che Erik avesse una cotta per me dalla prima volta che mi aveva visto tra i corridoi della scuola. Io avevo sempre negato, si comportava in modo carino e gentile con me senza nessun secondo fine. Non c'era nulla di male nel comportarsi in modo amichevole con tutti.

Parlando del diavolo spuntarono le corna, la rossa entrò per ultima nell'aula lasciandomi uno sguardo spaventato.

La lezione iniziò e io cercavo di incrociare lo sguardo di Charlie, volevo sapere cosa le fosse successo.
«Che succede?» chiesi con il labiale.

«C'è la polizia fuori da scuola» risponde lei gesticolando.

Sgranai gli occhi non capendo nulla. Erik mi diede una gomitata per attirare la mia attenzione. «C'è qualcosa che non va?»

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