47. Come ai vecchi tempi

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Il telefono squillò e mezza addormentata risposi senza aver controllato chi aveva fatto partire la chiamata.

«Pronto?» biascicai assonnata e cercai di trattenere con tutte le mie forze un rumoroso sbadiglio. Fissai la sveglia digitale che puntava le dieci del mattino, nonostante avessi dormito più di dieci ore mi sentivo priva di forze, prosciugata di ogni energia fisica e mentale.

«Perché non sei a scuola?» chiese Pedro. Spalancai gli occhi svegliandomi di colpo, cercando di ricompormi in pochi secondi. 

Non sentivo la sua voce da un bel po'. Ero riuscita a ignorare le sue chiamate e i suoi messaggi per settimane. Ma quell'uomo non demordeva; era testardo come un mulo e voleva parlarmi a tutti i costi.

Un pomeriggio si era presentato sotto casa con la scusa di salutare Liz e John. Sapevo che i miei genitori mi avrebbero chiamato per andarlo a vedere. Avrebbero detto qualcosa del tipo: "Dovresti essere grata all'uomo che ti ha salvato la vita, vai a salutarlo".

Certo, era l'uomo che mi aveva salvato. Ma era anche quello che mi aveva spezzato il cuore.

Così, per evitare guai, prima che Liz venisse a cercarmi, mi fiondai nella doccia. In questo modo, evitai di salutarlo e di vederlo.

Per distrarmi da lui, mi ero immersa nei libri. Lo studio era diventato il mio rifugio sicuro. Uscivo raramente, se non per andare a trovare Charlie.

Quella mattina avevo deciso di non andare a scuola. Non stavo attraversando un buon periodo e sentivo di aver bisogno di una pausa. Odiavo saltare le lezioni, specialmente con la fine dell'anno scolastico alle porte. Mi ero promessa di diplomarmi con il massimo dei voti, non solo per me, ma anche per i miei genitori.

«Ehi ci sei?» Improvvisamente il suono della sua voce mi riportò al presente.

Mi chiesi come facesse a sapere che non sarei andata. Mi stava forse spiando? Poi ricordai che, come ogni mattina, effettuava il suo controllo di routine nei pressi della scuola. Era proprio grazie a quegli attimi che riuscivo a sgattaiolare via per scambiare qualche coccola di nascosto, lontano dagli sguardi indiscreti.

«E a te che importa?» risposi, cercando di mantenere la calma, ma sentii montare dentro di me la rabbia.

«Perché sono preoccupato per te. So quanto ci tieni e, conoscendoti, andresti a lezione anche con la febbre.»

Mi morsicai il labbro, trattenendo un sorriso. Realizzai quanto mi conoscesse bene.

«Non sono affari tuoi. Lasciami in pace e smettila di chiamarmi» continuai la recita della ragazza menefreghista, in realtà stavo sopperendo come un cane per come lo avevo trattato cinque giorni prima.

«Non fare la bambina» replicò lui, con un tono leggero.

«Tu impara a comportarti da uomo, allora» ribattei piccata

Sentii un fischio di sorpresa dall'altro capo del telefono, seguito da una piccola risata. «Wow, questo ha ferito il mio ego!»

«Non sto scherzando, Pedro. Lasciami stare, per favore, e per il resto della mia vita»

«Quindi parli sul serio?» improvvisamente il suo tono diventò serio e percepii una strana tensione nella sua voce.

Parlare con lui mi era mancato terribilmente. Non avrei mai pensato che fosse possibile evitarlo per tutti quei giorni. Proprio quando stavo cominciando a convincermi che avrei potuto farcela, ecco che mi chiama. E come se niente fosse, come se non fosse successo nulla, inizia a parlare come se fossimo ancora quelli di prima, come se non avessi mai deciso di lasciarlo.

La sua leggerezza mi infastidiva. Era come se non capisse la gravità della situazione, come se tutto ciò che era accaduto non avesse alcun peso. Io, invece, mi sentivo in balia di emozioni contrastanti: la rabbia si mescolava a una nostalgia che cercavo disperatamente di soffocare. La sua voce, così familiare, mi faceva tornare in mente momenti che avrei voluto dimenticare.

In quel momento, capii che dovevo essere ferma. Non potevo permettere che il suo modo di fare mi disorientasse di nuovo. Nonostante la voglia di ascoltarlo e di tornare indietro, sapevo che ogni parola non detta era un passo verso la mia libertà.

«Sono più giovane di te, ma non stupida. Non mi farò più prendere in giro»

Ci fu un attimo di silenzio, poi Pedro riprese, più serio: «Non ti sto prendendo in giro, Mel. Volevo solo sapere come stai»

«E io voglio che tu rispetti la mia decisione»

«E se ti dicessi che non sono pronto a lasciarti andare?»

Il cuore perse un battito. Improvvisamente, la mia corazza cominciò a sgretolarsi.

«Questo non cambia nulla. La mia decisione è stata già presa» non appena terminai di parlare riagganciai, per evitare di sentire la sua risposta.

Era incredibile quanto potere avesse quell'uomo su di me. Dovevo fare attenzione alle sue parole; non sapevo se fossero sincere o se nascondessero qualcosa di più profondo. Non potevo permettermi di abbassare la guardia. Ogni parola poteva essere un inganno, e la mia vulnerabilità era un rischio che non potevo correre.

Avevo bisogno di cambiare aria, di svuotare la mente e di cercare un po' di leggerezza che non provavo da tempo. Quella sensazione di libertà e spensieratezza, che sembrava appartenere a un'altra epoca, si era persa negli ultimi mesi, inghiottita dalle preoccupazioni e dai conflitti interiori. Dovevo ritrovare la me stessa adolescente, quella che si divertiva senza pensare alle conseguenze. Avevo bisogno di dimenticare l'incidente, Erik, il mio futuro, Pedro e tutto ciò che riguardava l'amore.

L'unica cosa che sembrava alleggerirmi era l'alcol. Lo sapevo, non era la soluzione migliore, ma in quel momento mi sembrava l'unico modo per lasciarmi alle spalle il peso di una realtà che stava diventando insopportabile.

Era venerdì, e io e le mie amiche avevamo una tradizione: andare in un locale e ballare. L'idea di infiltrarci in un nuovo posto con l'aiuto di Logan e di divertirci come ai vecchi tempi mi riempì di entusiasmo. Volevo ballare, ridere e, per una sera, dimenticare tutto. Così, presa dalla mia solita impulsività, scrissi alla mia migliore amica.

"Stasera io, te e Stacy facciamo una rimpatriata come ai vecchi tempi. Ho bisogno di bere e di divertirci come non facevamo da un'eternità."

Non ci volle molto perché la risposta di Charlie arrivasse rapida... quella ragazza aveva sempre il telefono in mano.

"Ci sto! Ho bisogno di una serata folle dopo questa settimana. E se Logan poteva aiutarci a entrare, tanto meglio! Non vedevo l'ora di rivederti e di ballare fino a dimenticare tutto!"

Leggendo il suo messaggio, un sorriso si fece largo sul mio viso. Come immaginavo, la risposta era più che positiva. Charlie non aspettava altro da me. Per tutti questi giorni si era subita i miei pianti e i miei sfoghi senza mai abbandonarmi. Anzi, aveva sempre cercato di spronarmi ad andare avanti con la mia vita, a non fossilizzarmi sul ricordo di Pedro.

C'è voluto un po' di tempo per realizzarlo. Ci sono volute notti insonni e perenni mal di testa, per farmi capire che dovevo reagire.

Sapevo che quella serata sarebbe stata lo svago di cui avevo bisogno. Non avrei trovato tutte le risposte, ma in quel momento, l'idea di riunire le mie amiche mi riempiva di entusiasmo.

Volevo perdermi nella musica, abbandonare le ansie e lasciare svanire i pensieri mentre ballavo. Era tempo di riscoprire la gioia di quelle serate spensierate, quando le risate riempivano l'aria e i problemi sembravano lontani anni luce.

E mentre pensavo a tutto questo, una scintilla di eccitazione si accese in me. Forse, quella sera, avrei potuto ritrovare un po' di quella leggerezza che tanto mi mancava. Era il momento di abbandonare il peso delle aspettative e lasciarmi andare, almeno per una notte.

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