10. Angioletto

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Io, Charlie, Stacy e Giorgina eravamo rimaste a scuola insieme ad altri per pulire l'intera mensa che era stata sporcata con il cibo lanciato dall'intero corpo studentesco.

Ancora non riuscivo a credere che Stacy e Giorgina avevano dato il via ad una lotta di cibo. Pensavo che tutto quello potesse accadere solo nei film e invece...

Dopo la sfuriata del preside eravamo state convocate una dopo l'altra nel suo ufficio. Era stato clemente: nessuna espulsione immediata, ma aveva deciso che dopo le lezioni aspettava a noi sistemare tutto il casino creato.

Giorgina per tutto il tempo non aveva fatto altro che lamentarsi. «Non posso toccare quel pezzo di lasagna mi fa troppo schifo!», «Bleah c'è del minestrone su tutto il muro!», «Non posso pulire, si rovinano le unghie...».
Insomma era una lamentela continua.

Io e le mie amiche cercammo di pulire il più in fretta possibile, ma la mensa era grandissima e in tre non riuscivano a fare molto.
Tra secchi di acqua, spugne e scope io cercavo di non pensare a che guaio potevo essermi messa se Pedro fosse venuto a conoscenza dell'accaduto.

Probabilmente non mi avrebbe detto nulla. L'idea che aveva di me sarebbe potuta cambiare, magari gli sarei apparsa ancora più immatura. Se solo sapesse che in quella storia non centravo nulla, ma avevo cercato di addossarmi la colpa perché altrimenti Stacy sarebbe stata in guai seri.

«Potresti fare qualcosa anche tu, magari prendere in mano una spugna e pulire il tavolo» parlò Charlie a Giorgina. La mia amica aveva l'aria stanca di chi non aveva riposato un minuto.

Giorgina la guardò dall'alto verso il bassò e poi continuò a limarsi le sue unghie color rosso fuoco.

«Puoi scordartelo! La colpa è tutta vostra, grazie a voi ho perso il mio appuntamento dall'estetista!»

«Potresti almeno sistemare i vassoi? Sono puliti li ha lavati prima Amelia» continuò la rossa strovinandò enericamenfe la spugna sul tavolo.

«E allora perché non li ha sistemati lei?» domandò smettendo di limarsi le unghie. Sbuffai ormai piena delle sue lamentele, della sua maleducazione e testardaggine. La mia pazienza aveva un limite che Giorgina stava pian piano oltrepassando.

Fortunatamente Stacy non era presente in quel momento ma si trovava in cucina a sistemare. Se avesse sentito anche solo una sillaba pronunciata da Giorgina probabilmente avrebbe iniziato a prenderla a schiaffi.

«Senti Giorgina puoi anche tornare a casa perché le tue lamentele non sono di aiuto» mi intromisi io tra la discussione delle due.

«Finalmente la timidona ha tirato fuori la lingua» mi canzonò alzandosi in piedi e mettendosi la borsa in spalla. Sentii Charlie affianco a me scaldarsi. «Dai vattene via!»

Così senza troppe preghiere la vipera si allontanò da noi per uscire dalla mensa. Finalmente un po' di pace per le mie orecchie, sentire la sua voce stridula per tutto il pomeriggio non aveva fatto altro che mandarmi il cervello in tilt.

Stanche e affamate ci dirigemmo fuori da scuola, una volta concluso il nostro compito.

«Vuoi che ti porti a casa?» mi chiese Charlie tirando fuori dal suo zaino le chiavi della macchina. Io guardai l'orario sul mio orologio da polso e mi impanicai. Erano le 19:30, questo voleva dire che Pedro era già tornato a casa e mi stava aspettando per cena.

Il problema? Era che non avevo avvisato del mio esagerato ritardo. Eppure i miei genitori mi avevano espressamente chiesto di avvisare Pedro per qualsiasi movimento o necessità. L'avevo fatto? No. Allora mi potevo considerare fottuta.

«Si ti prego sono in ritardo»

Così sfrecciammo per le strade della città, senza troppi problemi feci da navigatore a Charlie che non sapeva dove abitasse Pedro. «Carina la casa...» commentò. «Mi raccomando se sarai ancora viva mandami un messaggio!» mi salutò com un bacio volante.

Corsi ad aprire la porta con le chiavi di riserva che Pedro mi aveva gentilmente prestato per quella settimana. In casa alleggiava il silenzio, non era ancora arrivato? Sperai che fosse così. Nel vialetto non avevo visto il suo pick up...

Feci il giro della casa per cercarlo e lo trovai nel giardino sul retro, immerso nell'oscurità della notte intento a fumarsi una sigaretta. Sperai con tutta me stessa di trovare le forze per parlare. Dovevo scusarmi per il ritardo oppure fare finta che non fosse successo nulla? Prima che potessi rispondere mentalmente alla domanda, Pedro si accorse della mia presenza.

«Siediti dobbiamo parlare» mi ordinò calmo, indicando la sedia di plastica accanto alla sua. Io con una lentezza disarmante mi sedetti vicino a lui.

«Le stelle sono bellissime questa sera, tu non trovi?»

«Non tentare di cambiare discorso Mel»

Al solo pronunciare il mio nome una scarica di adrenalina riempì il mio corpo. Amavo come il mio nome suonasse come una dolce carezza sulle sue labbra.

«Non sto cercando di cambiare discorso, la mia era solo un'osservazione...» tentai di giustificarmi alzando le mani e le spalle contemporaneamente, ma la faccia dell'uomo sembrava non aver bevuto la fesseria appena detta.

«Mi chiedevo dove tu fossi finita, ero pronto a setacciare tutta la città per te» disse tirando nervosamente la sua sigaretta e sbuffando davanti a se il fumo appena inalato. 

Fissai il fumo bianco scomparire nell'aria e ingoiai la saliva sentendomi in colpa.

«Mi dispiace mi sono dimenticata di avvertirti, c'è stato un contrattempo a scuola e...»

«Non servono scuse, ormai è successo» ribatté spegnendo la sigaretta nel portacenere.

«Lo so» dissi guardando le punte delle scarpe.

«Hai idea di quanto fossi in pensiero per te? Conoscendoti sei in grado anche di metterti nei guai da sola»

«Questo non è vero!»

«Ah no? Fai tanto l'angioletto quando sei con i tuoi genitori e poi ti ritrovo in un locale a bere alcolici. Il tuo amico sa quanti anni hai?» domandò alzandosi dalla sedia.

Infastidita dalla sua domanda mi alzai pure io. In quel momento ci troviamo l'uno davanti all'altra a sfidarci con lo sguardo.

«Ora non iniziare a tormentare Logan proprio come hai fatto con Erik» lo minacciai puntandogli l'indice contro.

«Non tormento nessuno, faccio solo il mio lavoro. Tu devi stare attenta: le persone che ti circondano non sono come credi che siano. Sei ancora giovane questo è un consiglio che ti do come se fossi la mia figlioccia»

Figlioccia aveva detto. E tremila coltelli iniziarono a pugnalare contemporaneamente il mio cuore. Stava perdendo tanto sangue e per poco non lo sentii più battere dentro la gabbia toracica.

«Di padre me ne basta solo uno Pedro, non ho bisogno di te» dissi piccata e rientrai in casa. Lui non fece nulla per fermarmi, per chiedermi di rimanere un po' con lui.

Che motivo c'era poi? Nessuno, infondo per lui ero come una figlioccia.

Whiskey eyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora