30. Non c'è rosa senza spine

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Svegliarsi il giorno seguente era stato faticoso. La giornata era incominciata con una voglia pari a zero di alzarmi dal letto. Lo shock termico che provai una volta uscita dalle coperte alle sei e mezza di mattina era micidiale. Quella mattina non avevo scuola (per fortuna), ma avevo il lavoro ad aspettarmi.

Margherita mi aveva assunto per aiutare la nipote Kate nei weekend, quando il lavoro era intenso e pieno di feste e cerimonie. Così in tutta fretta mi preparai e andai verso il posto di lavoro.

Entrai nel mio piccolo luogo di paradiso e salutai la mia nuova collega.
«Eccoti qui. Caspita, sei puntuale come un orologio svizzero!» mi salutò raggiante Kate.

«Non mi piace tardare» mi giustificai ricambiando un sorriso.

Kate mi faceva inspiegabilmente bene al cuore, così solare e gentile nei miei confronti. Nella mia vita avevo incontrato poche persone dall'animo buono e lei era una di queste. In quel momento capii che io e lei forse saremmo potute diventare grandi amiche.

«Ah si... prima che mi scordi, nel laboratorio c'è una sorpresa per te. Mi hanno chiesto di non rivelarti chi è il mittente, ma se leggerai il biglietto ben presto capirai» mi disse e poi si incamminò nella parte in fondo del negozio, per risistemare un paio di orchidee bianche con striature viola.

Corrugai lo sguardo. Di chi si trattava? Di Pedro forse? Visto che non aveva lasciato nessun nome di riconoscimento. Forse voleva riprendere il discorso di ieri in anonimato.
Ripensai al modo in cui ci eravamo lasciati la sera precedente.

Quando mi aveva riportato a casa in auto, alleggiava il silenzio. Con i sensi di colpa per aver diffidato di Pedro e insultato nei peggio modi Nancy, non volevo più far uscire dalla mia bocca nemmeno un flebile suono.

Una volta posteggiato l'auto nel vialetto di casa. Rapidamente mi slacciai la cintura di sicurezza ed ero persino pronta a lanciarmi fuori dall'auto se solo non fosse per la voce ipnotica di Pedro, che mi fece rimanere incollata al sedile del passeggero.

«Mel...» disse con voce profonda, talmente tanto da sentirmi desiderata al solo sentir pronunciare il mio nome.

Mi girai sperando che dicesse qualcosa su quello che era successo nel pomeriggio tra di noi, ma niente. Lo osservai scuotere la testa e pronunciare un: «No nulla buona notte»

E mi liquidò così quella sera. Lasciandomi con il beneficio del dubbio. Non sapevo se si era pentito nuovamente del bacio oppure no, ma una cosa era certa, quella volta non si era scansato e se non soffre stato per la telefonata di Nancy, forse la serata avrebbe preso una piega diversa.

Mi avvicinai al centro del laboratorio dove era posizionato un grande tavolo di legno su cui solitamente lavoravamo. Vidi poggiata su di esso una rosa, senza pensarci due volte la presi in mano per esaminarla ma la lasciai cadere sul tavolo con un mugolio di dolore.

Guardai la mano destra ferita da due tagli da cui fuoriusciva del sangue, non erano profondi ma bruciavano come olio bollente. Mi accorsi solo in quel momento che nella rosa non erano state tolte le spine.

Vicino ad essa c'era un piccolo biglietto il cui messaggio mi lasciò brividi di terrore.

"Non c'è rosa senza spine, mia dolce Amelia"

Era una calligrafia che conoscevo fin troppo bene e non era di Pedro.

«Ehi Amelia ti senti bene?» mi chiese Kate raggiungendomi nel laboratorio, dal suo volto ipotizzai fosse preoccupata per me.

Scossi la testa svegliandomi dallo stato di trance, stropicciai il bigliettino e lo nascosi nella tasca posteriore dei jeans. «Non mi ero resa conto delle spine attaccate al fusto della rosa e mi sono tagliata» spiegai cercando di non far trapelare dalla voce le mie emozioni negative.

Kate rovistò tra i cassetti un cerca di garze e acqua ossigenata. Mi aiutò a medicare la ferita e poi esclamò con aria sorridente: «...Bene ora possiamo ritornare a lavorare!».

Le ore passarono in fretta e si avvicinò sempre di più l'orario di chiusura. Innaffiai le ultime piante, mentre Kate era in laboratorio a parlare al telefono con una cliente. Improvvisamente sentii il suono della campanella, segno che qualche cliente aveva appena messo piede nel negozio.

«Siamo spiacenti ma stiamo per chiu...» le parole mi morirono in gola appena vidi il ragazzo davanti alla porta.

Si trattava di Erik.

«Ti è piaciuta la tosa? Vedo che ha ottenuto il risultato richiesto» disse indicando la mano medicata. Io la nascosi di riflesso dietro alla schiena. Non volevo farmi vedere debole davanti a lui.

I ragazzi come lui erano pericolosi ed era meglio stare alla larga da loro. Dopo la spiacevole notte del ballo d'inverno, non l'avevo più rivisto. Ero riuscita a non incontrarlo mai durante i cambi d'ora, durante l'intervallo o il pranzo. Mi ero sempre mossa di nascosto, cercando di non farmi notare troppo. Nè da lui nè dal resto del suo gruppo. Si era rivelato piuttosto difficile poiché Charlie aveva iniziato a frequentare assiduamente Axel.

«Vai via Erik» dissi con voce sicura. Poi riportai l'attenzione sul mio lavoro. Sperai che così si arrendesse all'idea che non volevo vederlo. Mai più.

«Che c'è? Adesso non mi vuoi più vedere?» chiese cercando di prendermi per il polso, ma io riuscii ad indietreggiare in tempo. Il cuore sembrò quasi cessare dalla pausa.
Tranquilla Amelia, non ti farà mai del male, c'è Kate nell'altra stanza... ripeteva la mia mente.

«Sei un pazzo maniaco! Ora vai fuori di qui!»

Scoppiò a ridere. Quella terribile risata non sarei mai riuscita a dimenticarla.
«Il pazzo maniaco non l'hai ancora visto» mi rispose serio tanto da farmi venire la nausea e brividi di terrore.

«È una minaccia questa?» chiesi con voce strozzata.
«Prendila più come... come posso dire? Un avvertimento»

«Tu mi fai schifo sei un essere spregevole!»
«Mi stai facendo incazzare, attenta con le parole!» sibilò Erik incattivito. Puntò i suoi occhi rossi lungo tutta il mio corpo e un senso di disgusto mi pervade come un onda.
Era strafatto e non riusciva a ragionare il bastardo.

«Amelia domenica prossima dobbiamo creare una piccola composizione floreale per un battesimo... oh di nuovo tu, sei venuto a prendere Amelia?» spuntò fuori la bionda dal laboratorio e salutò cordialmente Erik.

Il cambio di espressione di Erik mi inquietò. Non era più il ragazzo dagli occhi stralunati e con un espressione agghiacciante. Quell'immagina aveva lasciato posto ad un sorriso smagliante.

«No no, sono solo venuto a controllare che il mio regalo le fosse piaciuto» si giustificò con un sorriso tirato.

Solo? Che figlio di puttana.

«Direi che ha apprezzato molto» ribatté Kate.
Moltissimo, pensai ironicamente.

«Bene vi lascio terminare il vostro lavoro, a domani Amelia. Sono sicuro che ci divertiremo da morire» mi salutò guardandomi negli occhi per quelli che mi erano parsi minuti interminabili.

Una volta uscito dal negozio riuscii finalmente a respirare. Solo in quel momento mi ero resa conto di aver trattenuto il respiro. Terminato il lavoro, presi le mie cose e chiusi il negozio insieme a Kate.

«Papà? Papà mi vieni a prendere per favore?» chiamai immediatamente papà al telefono sentendo un senso di inquietudine addosso.

Domani sarebbe successo qualcosa di brutto, il mio sesto senso non si sbagliava mai.

***

Spazio autrice:
Domani cosa succederà?🤨

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