𝑐𝑎𝑝. 𝟶: 𝐶𝑜𝑙𝑝𝑜 𝑑𝑖 𝑓𝑢𝑙𝑚𝑖𝑛𝑒 (𝑝𝑟𝑜𝑙𝑜𝑔𝑜)

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La convalescenza, sia fisica che mentale, era stata dura per Amos.

Gli era mancato lavorare con il padre a L'arte del cibo. Stare a contatto con la gente e con i clienti abituali, consigliare cibo dal menù e fare compagnia agli anziani che andavano a mangiare da soli; erano momenti che lo facevano sentire bene. Oltre che pulire e aiutare con gli ordini, ovviamente.

Inizialmente aveva paura di sentirsi fuori posto, di non riuscire a sopportare tutta quella gente... e invece quella piccola sfida che si era prefissato lo aveva aiutato. Lui amava quel lavoro, e ogni giorno era più divertente dell'altro. Era passato poco più di un mese e non poteva sentirsi meglio.

Suo padre lo chiamò dal bancone.

«Amos, tua madre mi ha telefonato molte volte... credo sia qualcosa di importante. Puoi stare qui dietro per favore? I clienti dovrebbero arrivare tra poco»

Il telefono squillò un'altra volta.

Amos corse subito da lui sistemandosi con le dita i capelli color miele, rischiando di creare ancora più nodi. «Certo papà!» Disse affiancandolo, «vedrai che non è nulla... avrà scoperto della festa in piscina dove hai fatto andare Irene.» Cercò di mantenere una voce stabile, ma stava tranquillizzando più se stesso che il padre. Era vero ciò che aveva detto, ma sua madre non aveva mai chiamato così tante volte di fila, e lo sguardo del padre lo fece preoccupare ancora di più.

Lui rispose con un sorriso per confortarlo, e si chiuse dentro il proprio studio.

«Spero non sia nulla di grave» guardò la porta dello studio per un po', combattendo contro la voglia di andare a origliare.
Fortunatamente ad aiutarlo fu una coppia che entrò dentro il ristorante, e lui li osservò bene per non pensare di avvicinare l'orecchio alla porta.

La ragazza indossava un vestito bianco che le arrivava fin sopra le ginocchia, le ballerine del medesimo colore e i capelli, così neri da avere quasi i riflessi blu, erano raccolti da due trecce morbide, chiuse con elastici altrettanto bianchi. Esprimeva gioia dal suo sguardo, cosa che invece non esprimeva il ragazzo.

Era asiatico a differenza sua, e sembrava vestito come 'uno scappato di casa'; queste erano le parole che ad Amos vennero in mente nel vederlo.
Indossava una felpa nera sgualcita e dei jeans che sembravano essere più vecchi di lui, seppur non sembrasse una persona sporca.
Era entrato con il viso basso, ma la ragazza glielo fece alzare colpendolo sul braccio per ricevere la sua attenzione.

Era pallido e sembrava non dormisse da un bel po'. Il taglio degli occhi era come quelli di un serpente.
Non salutarono ma cominciarono a gesticolare avvicinandosi a un tavolo.

«Buon giorno, cosa volete ordinare?» Chiese a tono alto per farsi sentire, mentre usciva dal bancone.

Si sedettero in uno dei tavoli non vicini alla vetrata, dove non c'era il bel panorama del quartiere sempre in movimento. Non ci si sedeva mai nessuno lì.

Non ricevette risposta e sospirò. Dalla sua visuale poteva vedere solo la ragazza e non le sembrava felice, poté capirlo meglio quando cominciò a piagnucolare.

Si avvicinò con il taccuino e fece un cenno con il capo.

«Cosa volete ordinare?» Chiese ancora una volta, ma nuovamente non ricevette risposta.
Aggrottò le sopracciglia guardandoli «so che non c'è nessuno ma dovreste ordinare-»

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora