𝑐𝑎𝑝. 𝟾: 𝑈𝑛 𝑓𝑢𝑛𝑔𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑝𝑜𝑟𝑡𝑎𝑐ℎ𝑖𝑎𝑣𝑖

107 17 61
                                    

Era sera, Hunter si stava preparando per andare all'appuntamento con la bella italiana che aveva incontrato alla festa di Oliver e io non sapevo cosa fare. Allora, in un momento di nostalgia, salii sulla casa sull'albero che avevamo dietro casa. Nonna Lilibeth aveva creato tantissime tipologie di tende su misura con tantissimi tessuti e colori, stessa cosa con i copricuscini. Mio nonno Richard, invece, aveva costruito disegnato e costruito l'intera casetta. C'erano peluche e tanti, tantissimi libri.

Tutti nel quartiere avevano tolto i loro alberi per piantare piante o anche semplici ortaggi, noi invece avevamo due bei alberi enormi, con in mezzo una bellissima casa. Semplice ma d'effetto, così d'effetto che quando mio nonno la creò - così mi raccontò - apparve sul giornale del paese come la più bella casa sull'albero del paese. Per me era già strano che esistesse il contest "La più bella casa sull'albero", ma ebbi conferma che non fosse una bugia quando mia nonna ritrovò il giornale.

Alzai il viso appena entrai dentro la casetta e sorrisi nel vedere tutte le miriadi di foto e disegni che erano appesi sul soffitto. A volte dimenticavo che ci fossero, poi mi stendevo sul pavimento e diventava una sorpresa rivederle;
Il giorno del diploma di Hunter, dove ancora camminava. Il mio diploma e poi quello di Caleb. Il giuramento di Kyle, il primo compleanno di Olivia, l'ultimo natale tutti insieme in famiglia... e tante altre.

Mi stropicciai gli occhi appena cominciai a non vederci più, e le dita si inumidirono. Rialzando lo sguardo però, tra una foto che ritraeva me e Irene all'Acquapark e un'altra dove ero con il mio ex ragazzo - che mio padre credeva fosse un amico intimo, e non capiva come mai Hunter non fosse geloso -, c'era una foto che era sotto quelle, ma riuscivo a capire quale fosse. Ero io a sedici anni, in una gara di pattinaggio. Non volevo vederla, ma volevo toglierla. Saltellai per riuscire a prenderla, ma era inutile, non ci arrivavo, e lì non c'era nulla che mi aiutasse a diventare più alto.

«Amos?» La voce di Kevin mi fece spaventare e caddi all'indietro. Mi rialzai subito dopo appena entrò in casa. Imbarazzato cercai di sistemarmi e mi massaggiai le guance. «Ciao Kevin...»

«Non ci arrivi?» Mi chiese guardando il soffitto. Io sbuffai imbarazzato.

«Non supero per pochissimo il metro e settanta. Quindi no, non ci arrivo.» Dissi offeso dalla sua domanda anche se era sembrato serio. Si avvicinò a me e alzando il braccio riuscì a prendere la foto. «Non sono mai andato su una pista di pattinaggio, è bello?»

«Ti mantieni a stento in piedi... non potresti pattinare.» Dissi cercando di essere divertente, ritrovandomi solo uno sguardo arrabbiato da parte sua. Sospirai scuotendo la testa e mi avvicinai alla libreria prendendo un libro. «Perché sei qui? Hai bisogno di qualcosa?» Misi la fotografia in mezzo alle pagine e lo riposai. Non volevo rivedere quella fotografia, e non l'avrebbe vista nessun altro.

Mi girai nel non ricevere risposta e mi misi a braccia incrociate. «Kevin, le parole esistono per un motivo, cioè facilitare la comprensione tra un individuo all'altro.» Dissi ironico roteando gli occhi, avvicinandomi a lui. Mi prese la mano e mi tirò a terra facendomi sedere accanto a lui, poggiando sulle mie gambe una borsetta di stoffa fatta però all'uncinetto. Confuso, la aprii - chiusa grazie a un bottoncino nero - e rovistando trovai all'interno una bustina con dentro quello che sembrava essere un portachiavi. Scoppiai a ridere appena capii cosa fosse.

Era una piccola rappresentazione di un fungo. Il cappello era colorato di un verde brillante, punteggiato con dei pallini bianchi proprio come una Amanita muscaria. E lo stelo era color biscotto, costellato da piccolissimi puntini marroni di grandezze diverse che, grazie a degli occhi verdi e una boccuccia sorridente, capii essere le lentiggini.

«Sono io?» Chiesi con un sorriso, alzando lo sguardo verso di lui. Annuì con la testa grattandosi il palmo della mano, a disagio. «È la cosa più bella e strana che abbia mai visto.» Continuai allungando la mano nella tasca del cappotto per prendere le chiavi e aggiungerlo lì.
«Lo chiamerò Robert!»

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora