𝑐𝑎𝑝. 𝟷𝟺: 𝑅𝑒𝑠𝑡𝑒𝑟𝑜' 𝑎𝑙 𝑡𝑢𝑜 𝑓𝑖𝑎𝑛𝑐𝑜 ²

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Appena tornai a casa ebbi la tentazione di baciare il pavimento del garage. Mi era mancata come l'aria, ma appena entrai in cucina, mi venne voglia di ritornare in ospedale per ammazzare Hunter.

C'erano tantissimi piatti sporchi, sicuramente di tutta la settimana, e mi misi subito a lavoro per lavarli. Poi mi feci la doccia dopo aver mangiato della pasta a forno che avevamo congelato, e andai da Kevin come Hunter mi aveva chiesto.

Uscendo di casa però, notai una chiazza di sangue sull'asfalto proprio davanti alla porta di casa. La paura che fosse il sangue di Hunter mi fece venire la pelle d'oca. C'era anche del sangue che gocciolava verso la strada.

Scossi la testa e mi avvicinai alla casa di Kevin dove suonai il campanello, ma come sempre non rispose nessuno. Feci il giro della casa notando che la finestra della camera fosse chiusa. Ci bussai comunque, per ricevere la sua attenzione, sicuro che fosse in camera ma niente.

Era bravissimo a farmi preoccupare.

Entrai la forcina all'interno della serratura e sperai di riuscire a forzarla un'altra volta. Dopo un minuto, lo scatto mi fece saltare dalla gioia, ma quando entrai in casa l'ansia si annidò sul mio stomaco facendomi venire dei crampi. C'era un silenzio troppo inquietante.

Mi avvicinai alla camera di Kevin, sentendo puzza di fumo.
Bussai, ma nulla, nessuna risposta. Entrai velocemente, sicuro di ritrovarmi una scena raccapricciante, e invece mi assalì solo un nuvolone di fumo misto a erba. Cominciai a tossire e corsi verso la finestra per aprirla, compresa la tapparella. Uscii il viso fuori per respirare e sventolai la mia giacca per far uscire il fumo.

Kevin era immobile sul letto a fissare il soffitto. Gli occhi arrossati per via dell'erba, lucidi, persi nel vuoto. Sembrava morto, tant'è che mi avvicinai per capire se stesse respirando o meno.

«Kevin, sono Amos. Stai bene?» Chiesi preoccupato, rabbrividendo appena girò il viso verso di me non cambiando sguardo.

«Perchè non riesco a morire?» La voce che gli uscì fu soffocata. Si capiva che avesse fumato un sacco di sigarette, e il fumo che era in quella camera non aveva aiutato. A terra c'erano anche delle birre vuote.

«Perchè dovresti morire?» Chiesi sedendomi al lato del letto, avvicinando piano le dita sulla sua guancia lasciandogli delle carezze.

«Perché dovrei vivere?»

«Perché sarebbe un peccato se tu morissi, sei bello e intelligente» dissi per sdrammatizzare continuando ad accarezzargli quella guancia, stavolta con il pollice dopo averci poggiato il palmo. Scottava. «E sono convinto che tu possa dare molto, se solo riuscissi a uscire da questa casa»

«Mi spaventa»

Mi promisi di non lasciarlo da solo nemmeno un minuto fin quando non sarebbe tornata Marie, e non sapevo nemmeno dove fosse finita. Lasciarlo da solo, sapendo di cosa era capace, era un oltraggio.

«Vuoi alzarti?» Chiesi prendendo le redini della situazione.

«Ci ho provato» si stiracchiò guardandosi le mani, girandosi a pancia sotto alla fine.

«Ci riproviamo insieme» Mi alzai per mettermi dal suo lato, prendendolo per i fianchi per sollevarlo. Era una piuma. Lui si fece forza e si mise seduto, alzandosi in piedi per appoggiarsi a me. Piano piano andammo verso il bagno.
Era intorpidito, rigido, chissà da quanto non scendeva dal letto.

«Speravo di… di stare meglio dopo aver fumato» tirò su con il naso guardandosi la mano mentre muoveva le dita. «oppure di morire.»

Non gli risposi. «Dove l’hai presa l'erba?»

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora