𝑐𝑎𝑝. 𝟿. 𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑒 𝑎 𝑚𝑒 ¹

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Mi risvegliai comunque, seppur avendo staccato la sveglia, e cercai di dormire fino a quando Hunter non entrò in camera e cominciò a colpirmi sul fianco da sopra il piumone.

«Amos! La sveglia non ha suonato! Tuo padre ti aspetta tra un'ora...» continuò a colpirmi e spingermi, utilizzando anche l'altra mano. Tirai il piumone fino a coprirmi il viso e mugugnai lamentoso.

«Non ci voglio andare.»

«Amos, non dire sciocchezze. Ci devi andare.» Disse serio scoprendo il letto, quindi io aprii gli occhi piagnucolando, alzandomi con la schiena per mettermi seduto e stropicciandomi gli occhi.

«Ma che diavolo ti è successo ieri sera mentre non c'ero?» Chiese scioccato. Avrò avuto una bruttissima cera, considerando il suo sguardo. Allungò la mano sulla mia guancia e la accarezzò con il pollice. «Hai pianto? Hai gli occhi arrossati.»

«Kevin ha... litigato con me, credo.» Presi quella sua mano e l'allontanai.

Sembrava non m'importasse da come avevo risposto, ma m'importava eccome. E poi mille pensieri cominciarono a infilarsi nella mia mente.
Il viaggio in Germania, il lavoro al bar, il lasciare solo Hunter - e voleva dire che al mio ritorno, la casa, sarebbe diventata una discarica -, il viaggio in Germania.

Non mi capacitavo di come avevo accettato a fare quel viaggio. Io non volevo viaggiare.
Io volevo rimanere in casa, al sicuro, con le persone che amavo.

Mi portai le mani alla testa per alleggerire almeno un po' il peso che sentivo sulla fronte, anche se la sensazione di strapparmi i capelli era così forte che strinsi la presa. Mi alzai rimanendo in quella maniera, ma fui così goffo da inciampare sui miei stessi piedi rischiando di sbattere il naso per terra.

«... Amos?» Hunter si avvicinò allungandosi con la schiena verso di me, toccandomi la spalla con il braccio. Io mugugnai per fargli capire che fossi vivo. «Che diavolo ti prende?»

Che diavolo mi prendeva? Non lo sapevo nemmeno io.

Mi sentivo uno stupido, e mentre lo pensavo cominciai a singhiozzare e a lacrimare con la guancia appoggiata sul pavimento, volendo rimanere lì per tutto il giorno. Le lacrime scendevano da sole, facendo in modo che io non ci vedessi. Il mio corpo era pieno di sussulti, e potevo percepire la preoccupazione di Hunter dal solo toccarmi la spalla.

«Amos,» il tono di voce era pieno di compassione, e io odiavo quando provava compassione per me. Lui non era un tipo compassionevole, né tanto meno empatico, e questa cosa mi fece sentire solo più debole, piccolo, e infantile.

Non volevo piangere in quella maniera, non davanti a lui, né davanti a nessuno.
Non volevo disperarmi così tanto fino a non riuscire a respirare, come stava succedendo.
Odiavo sentirmi triste e depresso, non riuscire nemmeno ad alzarmi dal pavimento. È normale sentirsi così a volte, ma mi innervosiva non riuscire a essere attivo.

«Non ti vedevo così fragile dalla morte di nonna Lilibeth.» Mormorò prendendomi per il braccio, tirandomi verso di lui. «Alzati per favore, fatti abbracciare. Mi sta facendo male vederti così...»

Mi alzai dopo qualche secondo, per riuscire almeno a calmare i singhiozzi, e con la vista sfocata lo vidi aspettarmi con le braccia aperte.
Sorrisi come un bambino e mi lanciai su di lui - letteralmente, rischiai di inciampare un'altra volta. Mi posizionai sulle sue gambe e mi feci abbracciare. Strinsi le braccia sui suoi fianchi e cercai di rilassarmi tra le sue braccia il doppio delle mie.

«Devi sfogarti più spesso,»

«Ma se...» tirai su con il naso, per colpa di un altro singhiozzo cercando di asciugarmi le lacrime, ma Hunter mi precedette facendolo lui. «Piango sempre.»

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora