𝐶𝑎𝑝. 𝟸𝟺: 𝑆𝑜𝑙𝑜 𝑝𝑒𝑙𝑙𝑒 𝑒 𝑜𝑠𝑠𝑎

77 11 40
                                    

[TW: sex assault. leggete con cura.
metterò "•" quando inizia e finisce]

Erano gli ultimi giorni di lavoro prima delle vacanze di Natale e sia io che Carol, oltre che i quattro camerieri effettivi della quale non ricordavo nemmeno i nomi, eravamo pieni di lavoro.

Tutta la giornata, dalle sei alle undici con solo due ore di pausa.
Per me era sempre stato inaccettabile, per questo avevo convinto mio padre a farmi fare solo mezza giornata e, solo in casi eccezionali, tutto il giorno.
Alcune volte, però, gli facevo sia il mattino che l'orario pomeridiano, non la sera. Così avevo qualche soldo in più.

Carol oltretutto aveva in aggiunta anche la pausa sigaretta della quale stava usufruendo, almeno fino a quando non entrò con il fiatone e mi corse incontro urlando il mio nome e facendo girare tutti.

Io, che stavo cercando di capire ciò che stesse dicendo il signore alla quale stavo prendendo gli ordini, che parlava con un fortissimo accento africano, la guardai assottigliando gli occhi. «Un attimo Carol!» Risposi con la sua stessa enfasi per prenderla in giro, girandomi di nuovo verso il signore. «Mi scusi, ripeta...»

L'uomo sospirò e prese il cellulare digitando qualcosa, Carol invece mi colpì il braccio. «È arrivato Johann, ha parcheggiato!»

Non bestemmiavo nemmeno nella mia mente, ma stavolta mi trovai a farlo. Tirai giù tutti i santi esistenti nel capire ciò che mi avesse detto e rimasi a fissarla con la penna alzata, anche dopo aver sentito l'uomo chiamarmi per farmi vedere dal telefono ciò che voleva ordinare.

Magari Carol mi stava facendo uno scherzo, era solita farli anche se era una donna adulta. Ma no, sarebbe stato uno scherzo di cattivo gusto, e lei era fin troppo sensibile in certi casi.

Presi un respiro profondo sentendo l'aria arrivare molto lentamente ai polmoni, per questo cominciai a sentirmi confuso. «Amos?» Mi sventolò la mano davanti al viso e dopo aver strabuzzato gli occhi aprii le labbra per risponderle, ma avevo perso la capacità di parlare, non uscì nulla.

In compenso la bocca mi si seccò e scrissi titubante ciò che l'uomo mi stava facendo vedere su Google immagini.

Tavolo per cinque persone, con diverse pizze per la sera: una capricciosa, una ai quattro formaggi, due margherita e una vegetariana con verdure arrostite.

«Stai bene?» Mi chiese ancora, ma mi allontanai per andare in cucina e posare l'ordine lì, dove Salvatore la sera avrebbe fatto le pizze.

Volevo risponderle e dirle che andava tutto bene, anche se non era così, ma il mio cervello mi aveva tolto la voce.
Non me la sentivo, non mi sentivo pronto.
Avevo rimosso il fatto che avrei dovuto avere un faccia a faccia con Johann.

E ne avrei pagato le conseguenze quello stesso giorno, poiché entrò nel ristorante proprio quando Carol si era arresa dal farmi parlare, ed era andata nell'altra sala per aiutare i camerieri a sistemare.

Si avvicinò a me sorridendo e io mi pietrificai sotto il suo sguardo. «Voglio un caffè al ginseng, per favore.» Estrasse dalla tasca il portafoglio, che altro non era che un portacarte, e prese da esso cinque dollari.
Il caffè ne costava solo uno. «Gli altri quattro prendili come mancia.»

Digrignai i denti sentendo gli arti pesanti, ma con una calma che non credevo potessi avere riuscii a dargli le spalle per fargli quel caffè senza sputarci dentro.

«A te» glielo porsi appena pronto, cercando di non far tremare la mano.

Lo bevve piano dopo averci messo una bustina di zucchero, e lo assaporò leccandosi le labbra non smettendo di guardarmi.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora