𝐶𝑎𝑝. 𝟸𝟾: 𝑆𝑒𝑖 𝑖𝑙 𝑚𝑖𝑜 𝑅𝑖𝑓𝑢𝑔𝑖𝑜 (𝐴&𝐻)

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Era tutto così dannatamente reale.

Viscido e con una lingua più lunga del normale, da film horror, mi toccava in tutto il corpo mentre quelle dannate vetrate enormi si affacciavano davanti alle persone che amavo. E io non potevo muovermi, non potevo urlare. Lui mi smuoveva come una bambola gonfiabile mentre mio padre mi guardava con uno sguardo disgustato, mia madre piangeva dalla vergogna, Irene rideva e Hunter e Kevin guardavano in silenzio, con sguardo assente.

E io piangevo perché mi sentivo umiliato. Piangevo perché mi vergognavo a essere nudo davanti a loro. Piangevo perché Johann faceva tutto quello che voleva con il mio corpo.

Mi risvegliai in preda al panico, sentendo ancora il suo corpo sopra il mio e le mani sui miei fianchi, sulle mie cosce. Ma le uniche mani che c'erano sul mio corpo erano di mia madre che mi massaggiava il petto per calmarmi.

Terrorizzato la presi per il polso e la cacciai via con violenza, mettendomi sotto il piumone fino ai capelli, come un bambino.

«Sono la mamma, stai ancora dormendo?» Chiese con dolcezza, e seppur riconoscendola non volevo uscire da lì. Non volevo farmi vedere in quello stato, anche se cominciai ad avere difficoltà a respirare per via della poca aria.

Scossi velocemente la testa stropicciandomi gli occhi dal sonno, non sapendo se fosse ancora notte o meno.

«Allora ti tolgo il piumone, va bene?» Senza che potessi risponderle, tolse il piumone da dosso facendomi ritornare all'interno della mia camera.

La guardai in silenzio tenendo le mani strette a pugno. Mi fischiavano le orecchie, ma riuscivo a capire ciò che dicesse.

«Hai avuto un incubo Puffete, stai bene?» Mormorò con le mani sul grembo dopo aver poggiato il piumone ai piedi del letto. Dietro di lei, allo stipite della porta, c'era Hunter con in mano una tazza fumante, che mi guardava scuotendo la testa.

Cominciai a girare lo sguardo prima su di lui e poi su di lei, per molti secondi.

«Lo vedi che non sta bene?! Non ha cinque anni.» Esclamò Hunter con tono alto e acido.

Mia madre si girò verso di lui guardandolo male. «Hunter, modera i toni.»

«Non modero niente.» Disse con lo stesso identico tono, uscendo dalla nostra visuale.

Hunter era arrabbiato per colpa mia.
Era in pensiero per me, e questo lo logorava dentro. E logorava dentro anche me.

Mi portai le mani ai capelli, tirandoli così forte da sentire dolore. Volevo strapparli tutti.

Volevo schiacciarmi il cervello e far investire con un camion il mio corpo almeno venti volte, per farlo diventare poltiglia.

Non svegliarmi più.

«Amos, per favore parla, fammi capire che sei qui con me» portò le mani sulle mie per toglierle dai capelli, e ripresi a guardarla.

La vedevo a malapena, grazie alla luce della mia lucetta notturna, ma stava piangendo. La sua voce rotta e i suoi occhi lucidi mi fecero del male. Il mio senso di colpa diventò ancora più pesante.

Aprii la bocca per parlare, per dire qualcosa che non fosse una sola sillaba, ma appena ingoiai di nuovo la saliva, mi venne la nausea.

Lo stesso sapore aspro che sentii dopo essermi risvegliato nella camera degli ospiti a casa di Johann mi invase il palato e la lingua, facendomi immediatamente alzare dal letto.

«Devo vomitare» dissi velocemente, e in un attimo mi ritrovai in bagno a rigettare il nulla, con la fronte appoggiata alla mano di mia madre che mi accarezzava con l'altra la schiena.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora