𝐶𝑎𝑝. 𝟷𝟿: 𝑈𝑛𝑎 𝑠𝑜𝑟𝑝𝑟𝑒𝑠𝑎 𝑝𝑒𝑟 𝑖𝑙 𝑟𝑖𝑛𝑔𝑟𝑎𝑧𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜

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Le settimane dopo furono tranquille, anche per Hunter che poco a poco stava guarendo, anche se ogni tanto continuava ad avere incubi.
Per questo continuai a dormire con lui, rimanendoci in contatto tramite chiamata quando ero costretto ad andare a lavorare.

Non vedeva l’ora di uscire di casa per il ringraziamento, e per fortuna grazie alla fisioterapista che era già venuta a casa un bel po’ di volte, riuscii a scendere dal letto con molto meno dolore. Era anche il fatto che lei fosse bella, a essere un buon analgesico naturale. Se migliorava, gli faceva i complimenti, e Hunter amava ricevere complimenti dalle ragazze.

Fu far uscire Kevin a non essere semplice.

«Marie sta male, non posso lasciarla sola.» Disse prima che gli chiedessimo di venire con noi.

«Che cos’ha? È grave?» Chiese Hunter coprendosi con la coperta che gli avevo messo sulle spalle. C’era freddo, e il medico gli aveva prontamente consigliato di non ammalarsi con le costole in quello stato. Sembrava una vecchietta.

«Ma no! Ho solo un po’ di… mal di stomaco, nulla di che.» Marie apparì dal corridoio e si avvicinò, appoggiando la testa sul braccio di Kevin che, impassibile, ci guardava. Era effettivamente pallida, capii la preoccupazione di Kevin.

«Sei sicura? Possiamo fare qualcosa?»

Annuì con la testa. «Portatevi Kevin, ha bisogno di uscire.»

Di risposta Kevin batté le palpebre e la guardò male. «Ho paura che tu svenga.» Sussurrò stringendo la presa al bordo della porta. Le nocche gli diventarono bianche.

«Sei svenuto più volte tu che io!» Lo sgridò di rimando lei facendo una linguaccia, colpendogli la schiena. «Dai, vatti a fare bello e vai con Amos e Hunter. Sei in buone mani con loro, lo so. E poi hanno già pagato il biglietto, sarebbe un peccato fargli sprecare questi soldi.»

Kevin mi guardò per qualche secondo e, abbassando il viso, andò in camera.

«Ho le difese immunitarie un po’ basse. Anche se non sembra sono… cagionevole di salute. Kevin si preoccupa.» Spiegò scusandosi alla fine.

Hunter si avvicinò a lei prendendole la mano. «Noi ci siamo Marie, come se fossimo i tuoi figlioletti, o i tuoi nipoti.»

«Lo so che ci siete, ma proprio per questo voglio che vi prendiate cura di Kevin in primis. Se lui sta bene, io sto bene.» Ci sorrise e si allontanò per darci dei cioccolatini che mangiammo immediatamente.

Kevin poi arrivò, vestito come alla festa di Oliver e con in mano una busta di carta.

Salutò a malincuore Marie con un bacio sulla guancia ed entrò all’interno del nostro garage.

Prendemmo quindi l’aereo, anche se ne avevo paura. Sapevo che Kevin non avrebbe saputo reggere più di un giorno in macchina, ciò che di solito io e Hunter facevamo.

Il vedere lo sguardo incuriosito di Kevin che guardava fuori dal finestrino mi fece dimenticare tutto. Esisteva solo lui in quel momento, nemmeno Hunter che accanto a me blaterava bestemmie in italiano – non imparate da me – per dei bambini che piangevano dietro di lui, e che i genitori non zittivano.

All’aeroporto ci vennero a prendere Irene e nostro padre e quando arrivammo a casa stetti dieci minuti buoni a presentare Kevin alla mia famiglia.
Tra mia madre e Kora, sua moglie, che strinsero Kevin in un abbraccio come se lo conoscessero da una vita e Natalie, la madre di Hunter che lo scrutava come se fosse uno spacciatore, lo vidi diventare pallido per la confusione.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora