𝐶𝑎𝑝. 𝟸𝟼: 𝐷𝑜𝑙𝑜𝑟𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑑𝑖𝑣𝑖𝑠𝑖

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La febbre diminuì solo due giorni dopo, e non ricordavo niente di ciò che avevo fatto. Hunter mi disse che era stata così alta da avermi fatto avere le allucinazioni, ed era un miracolo che non mi fossero venute le convulsioni.

Ma io non ricordavo niente, e questa cosa mi rattristava perché fu Kevin ad accudirmi. Hunter mi aveva detto che si era preso cura di me e l'unico momento in cui se ne andava era al mattino perché aveva qualcosa da fare.

«Mi vuoi dire cos'ho visto?» Borbottai disteso sul divano, guardando in TV i My little Pony, poiché Olivia ci aveva obbligato a guardarci tutte le stagioni per la sua festa di compleanno a tema Equestria e tutte quelle cose lì.

«Ti ho detto no!» Rispose per la milionesima volta facendomi mettere il broncio. Arrivò con sulle gambe due bottiglie di birra appena uscite dal congelatore e io gliene rubai subito una.

«Me lo farò dire da Kevin allora.» Con aria di superiorità bevvi quella birra, rilassandomi appena sentii il liquido riscaldarmi la gola.

«Buona fortuna, lo sai che è più testa dura di me e di te messi insieme.» Rise facendomi spostare le gambe per mettersi sul divano, e allora io mi sedetti accanto a lui per appoggiarmi con la testa sulla sua spalla.

Avevo voglia di ubriacarmi e fare scenate di cui poi come sempre ne sarei pentito, ma sapevo che Hunter non me l'avrebbe permesso.

Cercavo di fingere che Johann non mi avesse fatto niente, perché in cuor mio speravo che lui non sapesse niente, ma da come mi guardava sembrava il contrario: non mi staccava gli occhi di dosso, mi stava vicino come una cozza e mi chiedeva ogni secondo come mi sentivo.

Stavo bene da mezza giornata e già mi ero stancato, ma dopotutto lo faceva perché era preoccupato per me, e io di solito ero anche peggio con lui.

«A che cosa p-» si fermò dal parlare, guardando dietro di me, sul bracciolo. «Ti sta chiamando qualcuno, perché hai messo il silenzioso?»

Mi girai ingenuamente verso il cellulare sgranando gli occhi. «No... n- no, non m'interessa!» Urlai rannicchiandomi con le gambe al petto, portandomi le mani sul viso.

Cominciai a dondolarmi, cercando infine di trovare conforto in qualcosa che ci fosse all'interno del salone.

Nemmeno i My little pony funzionavano.

«Amos, amico, dai. È una chiamata! Puoi tranquillamente non rispondere!» Hunter mi girò verso di lui stringendomi le gambe, io continuai a guardare la TV per non pensare a niente, ma i pensieri cominciarono a intrufolarsi.

Non avevo visto il nome di chi mi aveva chiamato perché avevo troppa paura di saperlo.

E se fosse stato mio padre? Ero svenuto quel giorno, non sapevo nemmeno cosa si fossero detti con Kevin.
Non sapevo cosa rispondergli, cosa fare. Ricordavo solo il suo sguardo disgustato nel guardarmi, come se non fossi più suo figlio.

Avevo paura che fosse mia madre, perché non sapevo come avrebbe reagito alla notizia, che già sicuramente sapeva. Ero impaurito da ciò che lei avrebbe potuto pensare.

Io non ero una puttana. Non volevo che lo pensassero.

Odiavo anche dire, solo pensare, quella parola.

Poi Johann aveva ancora il mio numero.
Io non gli avevo mai risposto, ma avrebbe potuto chiamarmi per prendermi ancora in giro.

Non mi accorsi, per via dei pensieri, di avere il respiro affannoso. Portai la mano sul collo per massaggiarlo, per almeno agevolare il respiro, ma non servì a niente.

Furono le mani fredde e ruvide di Hunter a riportarmi alla realtà appena mi prese per le guance. Tutto il caos all'interno della mia testa scomparve lasciandomi solo con un forte malessere e il battito accellerato.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora