𝑐𝑎𝑝. 𝟹: 𝑃𝑖𝑢' 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑛𝑜 𝑒', 𝑝𝑖𝑢' 𝑚𝑖 𝑝𝑖𝑎𝑐𝑒 ¹

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La sveglia mi fece aprire gli occhi: "Baby" di Justin Bieber. Era una canzone che odiavo alla follia, ma era questo il motivo del perché fosse la mia sveglia.
Faceva egregiamente il suo lavoro. Mi risvegliava.

Mi misi le ciabatte e presi il cellulare dalla scrivania. Tolsi le notifiche senza nemmeno leggerle; mi sarei distratto e avrei fatto tardi ad andare da Kevin.

Arrivando in cucina e aprendo il frigorifero per prendere il latte, un bigliettino attirò la mia attenzione. Lo presi.

"Mio padre mi ha chiamato dicendomi che non si sentiva bene, quindi sto andando allo studio al posto suo, perché deve fare dei tatuaggi enormi. Poi con questa scusa starò tutto il giorno dai miei genitori quindi non preoccuparti se non mi vedi tornare. Ti chiamerò se qualcosa non va. Non farti ammazzare da quel ragazzo per favore!
PS: sono le 7:00 e volevo svegliarti ma sei veramente tenero quando dormi. La colazione te l'ho fatta comunque, sono i dorayaki di Doraemon, ai fagioli rossi.
Per iniziare la giornata al meglio"

Sorrisi ritornando in camera tenendo stretto il foglietto, che altro non era che un semplice post it arancione fluo.
Aprii l'armadio e piegandomi in ginocchio presi da dentro esso una scatola di scarpe molto vecchia.
La aprii; dentro c'erano un sacco di fogliettini e di post it di diverse grandezze ed erano tutte di Hunter per me.
Lui collezionava confezioni di tè, io confezionavo i ricordi. Avevo una scatola da trasloco con dentro tutte le cose materiali che, nell'arco della mia vita, erano state importanti. Ma non l'aprivo dall'incidente. Avevo buttato i pattini, i poster, ma i biglietti, le foto, non avrei mai potuto farlo. Non erano ricordi solo miei, erano anche dei miei amici e della mia famiglia. Quindi non l'aprivo da allora, e avevo iniziato a riempire un'altra scatola.

Riposi la scatola dentro l'armadio e mi cambiai. Non sapevo vestirmi, non avevo il senso della moda. Tendevo a mettere la prima cosa che capitava, anche per un appuntamento galante.

Alla fine optai per un semplice blue jeans e un maglione verde oliva.

Ritornai in cucina per mangiare i dorayaki e decisi di portarne alcuni anche a Kevin.
Dovevo farmi accettare in qualche maniera, e il cibo è sempre ben accetto sia per le scuse che per fare amicizia.

Sistemai tre dorayaki in un piccolo portapranzo e mi misi le scarpe uscendo di casa. Presi una bella boccata d'aria fresca e attraversai la strada a passo fermo, cercando di non farmi inseguire dalla solita ansia.
Non c'era motivo di essere ansiosi. E stranamente non lo ero. Mi sentivo sicuro di andare a casa sua questa volta.

Salii gli scalini e suonai al campanello e come il giorno prima non ricevetti risposta.
Sospirai sbattendo i piedi per terra a ritmo di una musica che non c'era e cominciai a colpirmi la testa con il portapranzo. «Kevin! Sono io, Amos!» Con la mano, mentre sbattevo il portapranzo sulla fronte, continuai a suonare.

Mi fermai immediatamente quando sentii del trambusto da dentro la casa; porte che sbattevano, cose che cadevano. Poi Kevin aprì la porta. La spalancò di peso, appoggiandosi allo stipite.

«Mi lasci in pace?» Mormorò con disgusto. Aveva una postura agghiacciante: la schiena incurvata, le gambe piegate, la testa bassa a guardare il pavimento.

«No» dissi con fermezza, sorpassandolo. «È stata Marie a dirmi di venire, e sono venuto. E poi volevo chiederti scusa per ieri...» mi guardai attorno in cerca di qualcosa fuori posto. Quei rumori non mi erano piaciuti. Qualcosa non andava.

Appena Kevin chiuse la porta, mi girai nel sentire il rumore di qualcosa che cadeva a terra.
Aveva fatto cadere un vaso di plastica con all'interno dei fiori secchi che con l'impatto del pavimento si erano frantumati.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora