𝑐𝑎𝑝. 𝟷𝟻: 𝑃𝑒𝑟𝑐𝘩𝑒' 𝑛𝑜𝑛 𝑙𝑒 𝑡𝑢𝑒 𝑙𝑎𝑏𝑏𝑟𝑎?

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Mi alzai dal letto guardando l'orario della sveglia: le cinque e mezzo del mattino. Il sole doveva ancora sorgere e, se non fosse stata per la lampada sul comodino la camera sarebbe stata al buio. Staccai la sveglia, che avrebbe dovuto svegliarmi alle sette, e misi il telefono in tasca.

Bussai alla porta della camera di Hunter senza ricevere risposta.
Convinto che Kevin dormisse aprii piano la porta per controllare se andasse tutto bene o lo trovai seduto a lato del letto, con le gambe al petto, che si dondolava.

«Sono le sei del mattino, cosa ci fai sveglio?» Chiesi avvicinandomi alla finestra per aprire le tapparelle e sedermi accanto a lui sul letto nell'esatta posizione. Teneva la fronte sulle ginocchia, ed era così tanto nervoso da grattarsi le nocche.

Dovevo prenderlo con calma quindi appoggiai la guancia sulle ginocchia per guardarlo.

«Ho... bisogno di fumare, dove sono le mie sigarette?» Chiese con voce rotta, continuando a dondolarsi.

«Sono a casa tua, vado a prenderle se vuoi.» Mi alzai immediatamente dal letto, guardandolo un'ultima volta. «Vuoi qualcos'altro?» Sapevo che non stesse dicendo la verità. Non mi sembrava un fumatore incallito.

Scosse la testa continuando a dondolarsi, e io uscii dalla camera per mettermi la giacca, che non trovandola ricordai aver dimenticato in camera sua. Misi le scarpe e uscii di casa dopo aver preso le chiavi.

Attraversai la strada ed entrai in casa, andando subito in camera. La puzza di fumo c'era ancora, non se ne sarebbe andata via facilmente, ma si poteva finalmente respirare.

Accesi la luce soffermandomi subito sui disegni appesi sul muro, che con più calma potei finalmente osservare.
Erano cambiati d'allora, anche se non mi ricordavo il contenuto. Questi erano veri e propri ritratti: di animali, di insetti, di persone, di cose.
Vidi anche la ragazza che un anno prima Kevin portò al ristorante: Camilla. Era dipinta in una tela A4, e al collo aveva un funghetto identico al mio ma blu e nero, a richiamare i suoi colori. Sorridente e con i capelli sciolti e ricci faceva "ciao" con la mano, in uno sfondo azzurro con le nuvole bianche e soffici.

Mi ricordai di un altro disegno che attirò la mia attenzione e, guardandomi attorno, riuscii a notarlo: era sopra la testiera del letto.
Era fatto unicamente a matita. C'era un bambino - o almeno lo sembrava per le dimensioni - e dietro di lui, quasi a sovrastarlo minacciosa, c'era un'ombra più scura e grande.
Il bambino era però girato con il volto - anche se non aveva tratti facciali - verso destra, dove a guardarlo c'era un'altra figura poco più alta che gli teneva la mano. Quel lato del foglio era immacolato, pulito. Il lato sinistro, dove c'erano il bambino e l'ombra, invece, era sporco di grafite e il tratto era anche molto impreciso.

Non ne capivo di disegni, ma quello lì, per quanto infantile, mi fece rabbrividire.

Abbandono.

Quel bambino era Kevin, e l'altra figura era il lui alla quale il cuore aveva smesso di battere, lasciandolo da solo a combattere qualcosa più grande di lui.

Abbassai lo sguardo nel notare che ci fosse una data che riportava a dieci anni prima - quando era poco più che un ragazzino, se non un bambino.

«Amos, fatti i fatti tuoi.» Dissi a me stesso, chinandomi per cercare tra i tanti il pacco di sigarette pieno. «Chi si fa i cazzi suoi campa cent'anni, ascolta nonno Dario»

Cercai di non pensarci più, anche se mi risultò difficile. Mi resi conto di non sapere nulla su Kevin, nemmeno la sua età. E avrei potuto chiederglielo? Chiedergli di lui mi spaventava, d'altronde non sapevo nemmeno se mi avrebbe risposto.

Dopo aver trovato il pacco di sigarette tra i tanti vuoti a terra, presi dal suo armadio dei vestiti da fargli indossare e ritornai a casa dimenticando di nuovo la mia giacca.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora