𝑐𝑎𝑝. 𝟽: 𝑉𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑔𝑔𝑒𝑟𝑙𝑜

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Ero immerso in un sonno profondo quando, all'improvviso, un rumore indefinito si insinuò nella mia mente. Inizialmente pensai che quel suono, simile a un respiro, non fosse reale, ma con il passare dei secondi quel suono cominciò a essere più forte, e si aggiunsero anche dei sussurri indefiniti.

Impaurito, ma ancora assonnato, allungai lentamente la mano sotto al cuscino per riuscire a prendere il coltellino svizzero. Per fortuna non avevo mai avuto il bisogno di utilizzarlo.

Aspettai un attimo, per convincermi che non fosse tutto nella mia testa, e quando i sussurri si fecero più chiari aprii un occhio e poi l'altro, alzandomi di scatto maneggiando il coltellino. L'unica cosa che emanava luce era la piccola abat jour che tenevo sul pavimento vicino alla porta, ed essa era chiusa. Tutto era al suo posto, non c'era nessuno e Hunter nell'altra stanza russava come un porcellino.

«Che strano...» mormorai posando il coltellino svizzero sopra al cuscino, ma appena sentii di nuovo il respiro lo ripresi tremando dalla paura. «Oh Madonna delle Vergini!» Mi alzai dal letto accendendo la lampada sul mio comodino per avere più luce e mi misi a braccia conserte guardandomi attorno. Non sapevo cosa aspettarmi, ma rimasi a osservare.

Il suono gracchiante del walkie-talkie mi fece saltare in aria, e smorzai un urlo con una mano sulle labbra.

«Amos vieni»

Era la voce di Kevin, e i respiri che avevo precedentemente sentito, come anche i sussurri, mi convinsi che fossero i suoi. Aggrottai, però, le sopracciglia confuso.

«Ti prego, vogliono prendermi e io ho... ho paura» la qualità dell'audio non era ottima, ma poteva sentirsi benissimo il terrore nella sua voce.

Presi immediatamente il walkie-talkie tra le mani, rischiando di far cadere la lampada dalla velocità in cui lo aggrappai, e risposi. «Chi diavolo vuole prendere chi? Perché non chiami la polizia? La chiamo io? Marie sta bene?» Cominciai a fare domande senza ricordarmi che per ricevere risposta avrei dovuto smettere di premere il tasto.

In preda all'ansia, decisi di correre all'entrata per mettermi le scarpe, portandomi dietro il walkie-talkie.

«No! Lo proteggeranno...» un rumore sordo mi fece accapponare la pelle. «Non... farlo io posso- devo solo...» silenzio.

Guardai attraverso la finestra e la casa era immacolata. Non c'erano segni di scasso e né macchine sospette.
Rimasi a fissare l'aggeggio sulla mia mano e inclinai la testa trovando solo due risposte plausibili: o era ubriaco, o stava avendo un episodio di sonnambulismo.

Premetti il tasto dopo essermi messo il cappotto. «Busserò tre volte alla finestra della tua camera, aprimi okay? Vengo ad aiutarti.»

Posai il walkie-talkie sul mobile davanti alla porta d'ingresso e uscii di casa chiudendo a chiave. Attraversai la strada e anche il giardino di Marie, che aveva adorabilmente decorato con degli gnomi da giardino di ogni grandezza, colore ed etnia possibile e immaginabile. Arrivai davanti alla finestra della camera di Kevin e bussai tre volte come promesso, ma non aprì. Continuai a bussare, a fargli sentire la mia voce, ma nulla. «Porco Giuda Kevin!» mi portai le mani sul viso irritato.

Ritornai indietro, davanti la porta d'ingresso, e uscii dalla tasca del cappotto una forcina. La tenevo per l'evenienza, poiché sia io che Hunter perdevamo frequentemente le chiavi. Scassinai in un battibaleno la porta e la richiusi alle mie spalle camminando a passo felpato.

Era come se fossi un ladro, mi sentii tale mentre arrivavo davanti camera di Kevin. Cercai di convincermi che fosse per una giusta causa e che alla fine mi avrebbero capito ma finii comunque per sentirmi una persona orribile. Entrare dentro le case, dopotutto, era illegale.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora