𝑐𝑎𝑝. 𝟷𝟹: 𝑈𝑛𝑜 𝑠ℎ𝑜𝑐𝑘 𝑑𝑖𝑒𝑡𝑟𝑜 𝑙'𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜

99 16 78
                                    

Impaurito che Johann potesse cercarmi, chiusi le tapparelle e bloccai la maniglia della porta con la sedia. Riuscii ad appisolarmi con molta difficoltà, e per questo non dormii nemmeno a sonno pieno.

Oltre quei pensieri ne avevo un altro che per me era ancora più importante: Hunter.
Non aveva risposto ai messaggi, e né tanto meno alle chiamate e questa cosa mi rese estremamente ansioso. Lui non scompariva mai a caso.

Alzandomi dal letto con malavoglia, con quelle poche ore di sonno che avevo, mi feci una doccia rigenerante che di rigenerante aveva ben poco. Avevo il terrore di ritrovarmi Johann dietro, come i fantasmi nei film horror. Riuscivo a sentire ancora quelle mani sulle sue spalle mentre mi elencava ciò che gli avevo fatto. Per fortuna non ricordavo il peggio.

Oltretutto, mi sentivo uno straccio. Non mangiavo dal pranzo del giorno prima, ero così affamato da avere la nausea.

Quindi, dopo essermi vestito e aver sistemato quelle poche cose che avevo uscito dalla valigia, andai a fare colazione prima di andare all’aeroporto.

Mentre mangiavo per colazione la spaghettata di gelato, chiesi a un ragazzo che era seduto vicino a me dove fosse la farmacia più vicina.

Dovevo comprare delle pillole per dormire in aereo, sarei tornato a casa morto senno. Nel vero senso della parola. Non avrei saputo superare l’ansia del volo.

Dopo essere riuscito a trovarle, arrivai in aeroporto e riuscii a riposarmi solo per un’oretta prima di salire in aereo.

Fu più semplice del previsto poi, mi addormentai subito. Non prima di chiedere al ragazzo seduto accanto a me di chiamarmi se non mi fossi svegliato.

Scesi dall’aereo e cominciai a cercare mia sorella per tutto l’aeroporto. Aveva dei capelli inconfondibili, era impossibile non trovarla.

«Amos! Rinco!» Mi girai dall’altro lato, e la vidi in tutto il suo splendore. I suoi capelli rossi e stupendamente ricci a contornarle il viso come un leoncino, rendevano la sua pelle chiara ancora più appariscente. Poi teneva addosso uno dei miei vestiti preferiti, un tubino nero di lana.

«Irene!» Urlai correndo verso di lei, lasciando cadere sia lo zaino che la valigia dietro di me per saltarle addosso.
Mi strinse a sé ridendo, e io le baciai tutto il viso.
Mi era mancata, non la vedevo dalla volta in cui l’accompagnai in aeroporto. Il giorno stesso in cui Kevin si trasferì accanto a noi.

«Hai mangiato lì a Francoforte? Sei sciupato.»

«Zuppa di patate a volontà.» Roteai gli occhi ridacchiando. «La governante di Johann non cucinava colazioni dolci, quindi ho cercato di adattarmi ma non ce l’ho fatta. Lasciavo tutto nel piatto…»

«Idiota.» Mi diede una ditata in fronte e si avvicinò allo zaino per metterselo in spalla. Io trascinai la valigia. «In macchina c’è un pacco di patatine, è tuo. Sono i tuoi preferiti, limone e pepe rosa»

Sorrisi per quella sua gentilezza e la seguii verso i parcheggi.
«Perché c’è la tua macchina?» La indicai appena l’adocchiai. Una Cinquecento X color panna che lei non guidava mai. Era una di quelle persone che della patente non ci faceva nulla.

«C’è Alessandro, Hunter non è potuto venire.»

«Perché?» Chiesi, sentendo un crampo allo stomaco. Nervosismo.

𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora