13. Capitolo Jamie Lewis

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“La cosa più importante per capire come va una macchina è il culo.”
NIKY LAUDA

«Posso giocare con te?» chiedo timidamente ad Aurora.
«No, Lewis». Arriccia il naso mentre lo dice.
«Perché no? Sono bravo con i castelli di sabbia, anche con le costruzioni. È vero. Non dico per finta».
«Tu puzzi e non ti lavi».
«Non è vero. Tu, dici le bugie». Guardo la mia divisa, ha meno macchie del solito, e c’è ancora il profumo dei panni dopo che papà li ha lavati.
«Harry! Harry! Vieni a giocare con me?» Appena lui arriva, mi spinge via, per poco non cado a terra.
«Togliti che devo giocare». Anch’io lo volevo tanto.
Mi siedo un po’ più lontano, guardando con occhi tristi Harry e Aurora che si divertono con il loro castello. Harry ha i capelli biondi che sembrano brillare al sole, mentre Aurora ha i capelli neri neri. Sono così felici mentre pizzicano la sabbia, la plasmano, e la fanno cadere in torri e fossati. Ogni tanto mi guardano, ridono ancora di più, e io abbasso lo sguardo.
Sono uno spettatore indesiderato in un mondo di gioco che sembra irraggiungibile. Ho i capelli neri e occhi castani, ma è il colore scuro della mia pelle ad attirare l’attenzione. Ma è solo un colore, come il bianco, il giallo e il mio preferito rosso, il nero non mi rende più cattivo degli altri bambini.
Harry e Aurora sembrano essersi completamente dimenticati di me, non mi guardano più, concentrati solo sul loro castello di sabbia e sull’amicizia che condividono. Mi sento come se fossi stato tenuto fuori da qualcosa di speciale, come se non facessi parte della loro stessa classe. Rimango in disparte, cercando di nascondere la mia delusione e la mia solitudine. Spero che un giorno qualcuno si accorga di me, che qualcuno mi chieda di unirmi a loro, ma per ora, resto lì, un osservatore silenzioso di giochi felici che sembrano appartenere solo a loro.

Mi sveglio annaspando, e per un istante sono disorientato. Aspetta… sono nella mia camera d’albergo. Passo le mani sulla faccia per svegliarmi e mi verso un bicchiere d’acqua. Erano secoli che non sognavo qualcosa che appartenesse al mio passato. Ma perché proprio adesso? Il mio telefono lampeggia, e subito collego il motivo, il suo silenzio. Apro la notifica, che si rivela essere solo un messaggio da Instagram. A ossessionare la mia psiche dev’essere stato non aver ricevuto alcuna risposta al messaggio inviato a Julia. La causa non può essere il colore della mia pelle. Mi rifiuto di pensarci.
Ormai sono Jamie Lewis, il bambino di colore che lottava per farsi accettare non esiste più, la mia popolarità mi precede. Essere nero, nella mia posizione, mi rende solo più forte e unico. Tuttavia, non riesco a sentirmi a mio agio, provo un formicolio alla pelle e quel ricordo mi ha lasciato un retrogusto amaro. Bevo un altro sorso d’acqua, strapazzo un po’ il cuscino e poggio la testa. Ho bisogno di riposare, tra poche ore devo salire in macchina, la pole position di Imola mi aspetta.

Ancora nessun messaggio. Nulla di niente. Ma ora non ho più tempo da spendere in sciocchezze da femminuccia. Tra pochi minuti inizia la sessione di prove che determinerà la griglia di partenza per domani. Ho bisogno di massima concentrazione, niente pensieri sulla bellissima ragazza che non si prende la briga di rispondere a uno stupido messaggio. Merda se brucia. Basta!
Fiducioso nella sua presenza, cammino lentamente lungo la Pit, trascinandomi davanti ai box della RED, saluto la folla, quindi mi giro e saluto i colleghi avversari. Se ci sei, Julia, guardami!
Scruto ancora all’interno del box della concorrenza, ma è inutile, non riesco a trovarla. La folla è in delirio mentre raggiungo il mio. Italiani, popolo di tifosi straordinario.
«Tieni». George mi passa la balaclava. «Vuoi ascoltare un po’ di musica?» Scuoto la testa.
Non ho bisogno di nulla. La mia ansia è tenuta sotto controllo dalla determinazione: quella di ottenere la maledetta posizione da primo in questo GP. Salgo in macchina mentre i meccanici stringono l’hans  e le cinture di sicurezza. Io effettuo i controlli e guardo la telemetria dei miei rivali già in pista.
«Un minuto, Lewis», urla Tom in radio.
Alzo la mano, faccio ruotare il mio indice, dando il via libera all’accensione del motore. Faccio il solito check e tutto è come deve essere.
«L’albero di Natale ha le giuste luci accese, ragazzi», annuncio via radio.
«Siamo in vena di battute, Lewis?»
«No, Tom. Sono in vena di conquistare la prima posizione».
«Cosi mi piaci». Il mio capo meccanico ai box mi dà il via libera, il cavalletto viene abbassato, la macchina tocca terra, e le termocoperte  sulle gomme vengono sollevate. Subito esco dai box.
«Andiamo, mia cara. Facciamo vedere a questi italiani chi sono i più forti», dico rivolto alla mia vettura mentre effettuo il giro di preparazione.
«Lewis, inizia a spingere al massimo. Abbiamo bisogno di una buona prova prima della pole position», mi avvisa Tom.
«Sì, signore. Sono pronto. Vado al massimo, Tom». Effettuo una serie di giri, la macchina vibra troppo, non è facile da guidare, e mi piazzo terzo nella griglia provvisoria.
Rientro ai box mentre i meccanici si avventano sulla mia monoposto per apportare le regolazioni necessarie. Subito, chiedo il monitor della telemetria e osservo i dati con attenzione. Paul taglia la T2  e la T3 utilizzando al massimo il cordolo, guadagnando un decimo. Alla T9 sembra stare più sulla destra per avere una buona trazione in uscita verso la T10.
«Okay!» Schiaccio il bottone del team radio. «Voglio uscire per primo nella Q2 ».
«Perfetto. Il tempo di montare un set di gomme nuove».
«Non mi servono, Tom. Ho bisogno di un giro per verificare alcune cose. Devo capire se la mia macchina può sostenere quello che fa il mio avversario».
Sono il primo a posizionarmi all’uscita della Pit Lane , e appena il semaforo della Q2 diventa verde, mi lancio a tutta velocità sulla T2. Affronto la T9 come Paul e mi rendo conto che è fattibile. Visto che sono già fuori, decido di tentare il giro nonostante le gomme usurate.
«Ti stiamo monitorando costantemente. Il tuo tempo è buono, ma possiamo fare meglio. Concentrati, Lewis». Sono concentrato.
La macchina sembra ballare meno, e nonostante le gomme usate, riesco a piazzarmi quarto. Non è un tempo che mi permetta di stare tranquillo, e di certo non mi farò eliminare. Rientro ai box per montare un set di gomme nuove.

«Piano A  o piano B?» Chiedo.
Secondo il nuovo regolamento, la mescola degli pneumatici che monterò per fare il tempo nella Q2 sarà la stessa che dovrò usare nella prima parte della gara domani.
«Piano A». Perfetto, avrei scelto lo stesso.
Ritorno in pista. Affronto il circuito al massimo delle mie capacità e sono primo. Mentre effettuo il giro di rientro, sul display appare il tempo di Paul. Maledizione. Torno a essere secondo.
«Sto cercando di sfruttare al massimo il grip delle gomme. La macchina va bene, posso solo migliorare, Tom». Ne sono certo.
«Hai due decimi da recuperare rispetto al tempo di riferimento. È l’ultima curva che conta, dai Lewis!» Conta sempre l’ultima curva, anche perché quando il tempo scade, non hai più tentativi.
«Troviamo quei fottuti decimi, ragazzi». Non esiste che arrivi secondo.
I meccanici sono all’opera, e so che stanno dando il massimo. George mi passa i dati della telemetria e sorride. Sappiamo entrambi dove hanno vagato i nostri pensieri, ma non è il momento di farla entrare di nuovo nella mia mente; sono un tantino occupato. Gli faccio ok alzando il pollice.
Mi concentro e guardo sul monitor l’ultimo giro record della Q2 di Paul. Osservo lo schermo e confronto i dati, credo di aver capito. Monto il primo set di gomme rosse. Si riparte, ultima sessione.
Nel giro di riscaldamento, la macchina mi dà buone sensazioni. Quindi strappo la pellicola dalla visiera e mi lancio verso il primo tentativo. La monoposto è perfetta adesso, aggredisco le curve e lei mi asseconda. Taglio il traguardo e credo di aver fatto un ottimo tempo, ma dopo qualche secondo, il display del volante si aggiorna e mi indica di nuovo la seconda posizione. Maledetta, RED.
«Tempo scaduto, Lewis. L’ultima chance per la pole position. Concentrati, sei il migliore!» So che lo sono, ma non capisco davvero da dove la RED di Paul abbia trovato ancora il tempo.
Rientro nei box, riprendo gli ultimi dati e continuo i miei calcoli.
«Ho visto un miglioramento nel settore due. Darò il massimo nell’ultima curva, promesso». A Tom scappa una risata via radio.
«Lewis, it’s hammer time». Sì, è l’ora del martello.
Adesso sono a massima potenza e mi lancio per l’ultimo giro, come un cecchino miglioro tutti e tre i parziali della pista. Il suono del motore ruggisce mentre attraverso la linea del traguardo per completare il giro veloce. E sono primo. Spero sia questa la conclusione, ma so che Paul sta ultimando l’ultimo intertempo.
Maledizione, il display mi indica di nuovo che sono secondo. Tre fottuti millesimi!? Non ci posso credere.
«Lewis, hai fatto un grande lavoro!» Esordisce Toto in radio.
Proprio una prestazione del cazzo. Non fai un buon lavoro se l’esito non è quello giusto.
«Grazie, squadra! È stato un ottimo giro», dico in radio, cercando di mascherare la mia delusione.
Vorrei davvero sapere dove la RED ha trovato quei tre fottutissimi millesimi. Raggiunto il parco chiuso, scendo dall’auto. La folla italiana è in estasi per l’eccellente risultato della scuderia di casa. Non gioite troppo. Ho perso una battaglia, ma la guerra domani sarà mia.
Ora che l’adrenalina è scemata, mi chiedo se anche Julia starà festeggiando. A quanto pare, questo è il prezzo da pagare se perdi la testa per una sconosciuta della concorrenza.

«Che cosa è mancato all’ARGE per la conquista della Pole?» La giovane giornalista della TV italiana è davvero notevole.
«Niente. Il merito va dato alla grande prestazione della RED e del suo scudiero». Mentre termino la frase, vengo affiancato proprio da Paul. «Complimenti, amico. Ottima prestazione», dico mentre gli stringo la mano.
«Spero di replicare domani, Lewis». Devi prima passare sul mio cadavere.
«Non esagerare, Sain. RED, Dopotutto domani è un altro giorno». Gli faccio l’occhiolino, lui si gratta le palle per scaramanzia e continua il giro delle interviste.
Termino le mie e corro alla riunione con gli ingegneri. Voglio la mia auto al top per domani, oltre a tutto il resto. Mentre salgo le scale che portano agli uffici ARGE, avverto una strana sensazione, un formicolio sulla pelle. È come un’energia elettrica che attraversa il mio corpo, rendendo ogni passo più pesante, ogni respiro più carico di tensione. L’ho già provata, so di non potermi sbagliare.
Arresto la mia corsa a pochi gradini dalla porta. Il brivido si intensifica, quasi come un grido silenzioso nell’aria. I miei occhi scansionano febbrilmente la folla, cercando il suo viso tra le persone che si muovono e incitano il mio nome. Ma la confusione è troppa, il caos intorno a me si fonde in un vortice di colori e suoni.
Dove sei? È la domanda che martella la mia mente mentre indugio ancora, sperando che il destino mi porti a incrociarla. Ma niente. Non riesco a vederla. Mi arrendo, sconsolato, salgo gli ultimi scalini ed entro in riunione.

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