85. Capitolo Jamie Lewis

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“Sei un grande Ross, sei un grande!! E anche tutti voi, ragazzi! Non ci credo, non può essere! Ce l’abbiamo fatta! Grazie! Date un grande bacio a Corinna da parte mia!!”
Team radio Suzuka 2000 MICHAEL SCHUMACHER

Non sono felicissimo di lasciare Julia da sola in hotel, ma ha bisogno di riposo, il viaggio l’ha sfinita. Arrivo al box, mi preparo per le prove e il mio team, passata la felicità per avermi visto riapparire, è incazzato per la mia perdita di peso. Sono sotto di cinque chilogrammi, e in Formula 1 gravano come un macigno. Julia in volo aveva già previsto la problematica, mi ha detto di far aggiungere del carico sotto il sedile, per riequilibrare il baricentro. Dopo quello che è successo in passato, nessuno discute un consiglio della mia futura moglie e, come volessi dimostrare, le prove vanno alla grande. La macchina ha un ottimo bilanciamento senza apportare particolari modifiche. Mentre sto per andar via, vengo avvicinato dall’ingegner Parker.
«Volevo solo sapere se sta bene, abbiamo saputo dell’incidente». Stringo la sua mano.
«Sta alla grande. Proprio in questo momento stavo per raggiungerla in albergo. Le confido un segreto, aspettiamo un bambino». Mi dà delle leggere pacche sulla spalla.
«Auguri, ragazzi. Dopo tutto quello che è successo, mi fa un immenso piacere». Si congratula.
«Parker a proposito di quello che è successo. Non è tenuto a rispondere, ma ho bisogno di sapere: chi è l’ingegnere RED che ha architettato tutto?» Ai fini non cambia nulla, ma muoio dalla voglia di scoprire il nome del colpevole.
«Preferirei mantenere il riservo. Anche se è in galera e pur volendo non potresti ucciderlo». Ed è in quel momento che capisco.
«Vedo lampeggiare il suo nome a chiare lettere sulla sua fronte, Parker. È un bene che l’abbia solo drogata, e se dovesse capitare di incontrarlo, comunichi a Willer di guardarsi sempre le spalle». Gli faccio l’occhiolino e raggiungo l’hotel, archiviando il caso e maledicendo quello stronzo.

Entro nella stanza e trovo Julia vicino alla finestra intenta a canticchiare “You Are The Reason”, accarezzandosi la pancia. Mi avvicino piano e la bacio sul collo.
«Questa canzone, non so perché, ma la sento di continuo nella mia testa», confessa.
Conosco il motivo. La prendo tra le braccia, l’adagio sul letto e inizio a cantarla per lei. Piano, senza fretta, la spoglio.
«Sei tu nella mia testa». Le sorrido e comincio a spogliarmi anche io.
Mi chino verso di lei, chiudo gli occhi e la bacio. Ha le labbra morbide. La bocca invitante. Le prendo la testa fra le mani e approfondisco il bacio; voglio tornare in paradiso. Mi sono permesso di contattare il suo ginecologo e mi ha dato il via libera, possiamo farlo, ma con la dovuta calma. Lei ricambia venendomi incontro, mi passa le mani sulle braccia e mi stringe i bicipiti. Il desiderio fa ruggire i suoi motori. No, è più di questo. La voglio, è vero, ma più che altro ho bisogno di lei. Il mio corpo si risveglia, si infiamma. Julia è la mia àncora di salvataggio. Quando sono con lei, dentro di lei, va tutto bene. Percorro lento il suo corpo, il seno è più duro, i capezzoli sono più sensibili al mio tocco. La gravidanza la rende ancora più recettiva e vogliosa, la stuzzico con la lingua e le dita.
«Vieni per me, ho bisogno di sentirti». Ecco che trema e subito si libera.
Con lentezza risalgo il suo corpo, continuando a stuzzicarla. Questa gravidanza sarà uno spasso.
«Jamie, ho bisogno… ti voglio». Sembra che la mia futura moglie mi stia implorando e, devo ammetterlo, la cosa mi piace.
Anche perché non capita mai. È nata dittatrice, non schiava.
«Mi vuoi adesso?» Le chiedo mentre continuo a morderla.
«No, domani. Che razza di domande sono?» Eccola, la mia tigre.
«Dillo. Di’ che hai bisogno del tuo futuro marito. Fammi sentire quanto ti sono mancato», gioco sporco strusciando il mio basso ventre sul suo.
Lei ansima e solleva i fianchi, pronta ad accogliermi, ma ho intenzione di farla impazzire.
«Voglio…» Non riesce a finire la frase per il troppo piacere.
«Non ho capito bene, dicevi?» Continuo a tormentarla, muovendomi per farmi sentire meglio.
«Voglio che il padre di mio figlio faccia l’amore con me». Quelle parole sono sincere e bellissime.
«Merda, Archimede. Allora anche tu sai essere romantica». Con una mossa inaspettata ribalta le nostre posizioni.
Il suo sguardo non promette nulla di buono. Ora sono guai.
«O me lo dai o me lo prendo, Lewis». Okay! È tutto chiaro.
Basta, giocare. Anche perché si sta innervosendo e rischierei di vedere amputato il mio membro. Rovescio di nuovo la situazione riportandola sotto di me.
«Agli ordini, Archimede». Ed entro dentro di lei.
Fare l’amore con la mia futura moglie, la nostra prima notte dopo la tempesta, è la migliore esperienza sessuale di tutta la mia vita. E glielo dico con semplicità. La paura di perderla. Di non poterla più tenere tra le braccia. Tutto quello che sento. Mentre parlo si addormenta. Poso un bacio sul suo ventre e la copro. Fa un sospiro e, intorpidita dal sonno, dice di amarmi. Mi raggomitolo nudo dietro di lei, infilo una gamba fra le sue cosce e l’abbraccio accarezzandole un seno. Geme persino mentre dorme. È incredibile. Con la mia ragazza e mio figlio qui, al sicuro, posso finalmente riposare sereno anch’io.

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