39. Capitolo Julia Testa

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“Presta attenzione al feedback negativo e sollecitalo, in particolare dagli amici. Quasi nessuno lo fa ed è molto utile.”

ELON MUSK

JAMIE:
Ciao, spero tu stia bene. Non riesco a tornare subito a casa. Ho un impegno improvviso che mi terrà occupato per un po’. Scusami se puoi, JL.

È il suo lavoro. È normale che qualcosa l’abbia trattenuto. Tipo una modella super gnocca dalle gambe chilometriche? Ahhh! Lasciami in pace, Grillo malefico. Respingo il pensiero, mi siedo sul divano, sento freddo. Anche Steph ha cercato di rassicurarmi, dicendo che non è la prima volta che Jamie diserta una cena per il lavoro. Ha consigliato di abituarmi subito alla cosa, poiché è un evento frequente. E allora, perché non riesco a calmarmi? Sono paranoica, ecco perché. È vero, non conosco gli impegni di Jamie, non so nulla dei suoi cambi di programma, ma il messaggio precedente sprizzava gioia; quest’ultimo non riesco a decifrarlo, sembra spento. Sento che è successo qualcosa. Ma cosa!?
Calmati, Julia. Magari potrei mettermi a leggere. Vado in camera a prendere il thriller che ho cominciato e lo porto con me in soggiorno. E aspetto. Aspetto.
«È partita, Theo. Se n’è andata.»
«Stai scherzando? Ma com’è possibile, pensavo che tra di voi…»
«Theo, la sua vita è a Quantico. Non qui. E poi, mi ama così tanto da non essersi presa nemmeno la briga di salutarmi.»
Merda. Anche il libro ci si mette. Lancio “(UN)KNOWN - L’ignoto” di Jennifer P. sul divano. Sono agitata, e l’incertezza sui sentimenti di Jamie sta diventando insopportabile. Prendo il cellulare, rileggo il messaggio. Potrei scrivergli per sapere a che ora tornerà, invece desisto e inoltro la chiamata alla mia famiglia. Chiacchiero con loro. Mi chiedono come va con il lavoro; rispondo mentendo a qualche domanda e riesco a spostare la conversazione di nuovo su di loro. Nessuna novità nel piccolo paesello, stanno tutti bene, almeno loro.
Mi viene la pelle d’oca, niente a che vedere con la telefonata. Per qualche strana ragione ho la sensazione di essere osservata. Mi volto e vedo Jamie immobile sulla soglia del salotto che mi fissa con la sua espressione accigliata e pensierosa. Lancia il giubbotto sul divano, indossa una tuta da ginnastica, abbassa la cerniera della felpa, regalandomi la vista dei suoi pettorali scolpiti in bella mostra. Immagino le mie mani indugiare sui suoi addominali definiti. Sento il sangue ribollire di desiderio, puro, inarrestabile e inevitabile.
«Non fare come tuo solito. Mandaci qualche foto». Mio padre parla, ma io non l’ascolto più.
«Foto… Sì. Vi devo lasciare, papà. Dai un bacio a Desy. Ciao». Concludo la telefonata, in pratica in faccia a mio padre, tenendo gli occhi puntati su Jamie.«Julia», sussurra.
Mi alzo dal divano, lui avanza verso di me a passi incerti, sta zoppicando. Che cosa è successo? Allarme, rosso. Mi stringe tra le braccia, afferrandomi per la coda e andando alla ricerca delle mie labbra anch’esse desiderose di un suo bacio. È il paradiso. Prendo tutto ciò che la sua dolce, intensa bocca mi può offrire e respiro a fondo il suo profumo. Mentre le nostre lingue si intrecciano, sono sopraffatta di colpo dal desiderio, dal bisogno di cancellare insieme a lui i miei tormenti. Ma non posso, ho bisogno di sapere cosa è successo, perché sta zoppicando? Mi stacco da lui, stordita dalla passione, osservo la sua faccia.
«Cosa c’è?» Chiedo piano. «Che ti è successo alla gamba?»
«Non chiedere, ti prego». La sua risposta mi disorienta e i pensieri cattivi arrivano in pompa magna nella mia testa.
«Hai bevuto?» Ho percepito il sapore di birra mentre mi baciava.
«Un po’». Io ero qui ad aspettarlo, e lui era a divertirsi, chissà con chi, anche se la sua faccia sembra quella di un pentito. «Sono andato a bere un paio di birre. Avevo bisogno di stare solo per riflettere». A cosa? A me.
Si è davvero pentito? È così. La paura mi fa venire la pelle d’oca, rendendomi al contempo furibonda e stupida per essermi così preoccupata. Mi stacco da Jamie per mettere distanza. Il suo sguardo è scioccato, forse persino indignato. Non ha alcun diritto di esserlo. È lui ad aver mentito. Che stupida sono stata a preoccuparmi.
«Non dovresti bere. Non è produttivo per il tuo lavoro. Non hai bisogno del coraggio alcolico per allontanarmi. Basta dirlo, sono abbastanza temprata da sopportarlo». Non so dove trovo la forza di guardarlo mentre sento il mio cuore frantumarsi.
«Cosa? No. No». Cerca di avvicinarsi, e io mi ritraggo.
Soppeso la negazione. La risposta dovrebbe bastare a calmarmi, ma non mi convince. Mi fissa con uno sguardo scioccato, e penso che ciò che vede non gli piaccia.
«Perché dici così? Fermati. Non ti allontanare, cazzo». Fa un paio di passi cauti nella mia direzione. Zoppica tanto, e questa volta resto immobile.
«Ero qui, Jamie. Ad aspettarti preoccupata mentre tu eri a divertirti chissà dove, e zoppichi. Avevi scritto di avere un impegno dopo avermi mandato un messaggio bellissimo prima. E stai zoppicando. L’ultima volta che ho ricevuto un tuo biglietto romantico i giornali hanno… Non ho alcun diritto…» Mi rendo conto solo ora che sto tremando e non riesco a terminare la frase.
«Presa». Le sue braccia mi stringono forte. «Sei fuori strada, Archimede. Mi dispiace averti mentito, ma non ero in grado di tornare a casa, tantomeno di spiegarmi. Non ti ho tradito e non ho alcuna intenzione di farlo, mettitelo in testa. È vero, zoppico, ma solo perché ho sforzato troppo il piede in palestra, e non contento ho continuato a farlo al simulatore». Rilascio il fiato trattenuto.«Io…» Farfuglio a causa del sollievo che provocano le sue spiegazioni. «Ho avuto così tanta paura», mormoro e mi sento una stupida.
«Devi farmi una promessa, Julia». Porto lo sguardo sul suo viso. Mi osserva. Impassibile. Forse un tantino incazzato. Annuisco per farlo continuare. «Devi promettermi che mi porterai dal tuo ex e che mi lascerai sistemare le cose a modo mio». Una lacrima sfugge dai miei occhi, è di sollievo, infatti viene accompagnata dalla mia risata.
«Non è solo colpa sua. La mia mente spesso segue una logica orribile e il mio Grillo parlante è uno stronzo. Perdonami se non riesco ancora a fidarmi totalmente. Ma ti credo se mi dici che non è successo niente. Non so cosa ti abbia trattenuto, spero solo che tu l’abbia risolta». Scuote la testa e i suoi occhi tornano a rabbuiarsi.
«Non ancora, Julia. Prometto che te ne parlerò, non ora, quando sarò pronto. Però posso garantirti che non riguarda donne o figli nascosti, almeno spero». Gli tiro uno schiaffo sul braccio e subito dopo mi blocca le mani dietro la schiena, tenendomi prigioniera.
«Come vuoi, Jamie». Non so cosa lo turba così tanto, ma voglio che sappia che può contare su di me. «Io ci sono se hai bisogno».
«Certo che ci sarai, e devi pure farti perdonare». Alzo un sopracciglio.
«Non esagerare, Lewis. Non sono io ad aver mentito». Chiudo gli occhi a fessura per intimorirlo.
«Infatti, hai fatto di peggio, dubitato di me. Il tuo peccato è più grande». Da un morso al mio naso.
«È una “conditio sine qua non”: dire bugie porta sfiducia nell’altro».
«Una che?! Archimede, non è il momento di fare la saccente ingegnere. Sono circondato tutti i giorni da quelli come te, so come difendermi». Una “O” di stupore si apre sulle mie labbra, e lo stronzetto ne approfitta per infilarmi la lingua in bocca. «Andiamo a letto, così ti faccio vedere come so difendermi alla grande». Sorrido.«Mi stai dicendo che ti porti a letto i tuoi ingegneri?»
«Magari. Peccato siano tutti uomini e che nessuno mi attragga. Con loro devo usare un altro tipo di persuasione». Mi spinge in avanti verso la camera, ma appena fa un passo si lamenta del dolore alla gamba. «Merda che male».«Vecchio, stenditi sul divano. Arrivo». Mi allontano in fretta per prendere quello che mi serve in bagno e per evitare una reazione al mio non gradito nomignolo.
«Non sono vecchio!», urla puntualizzando.
Quando esco dal bagno Jamie si è già spogliato e messo comodo sul divano. Non sarà facile fargli un massaggio al piede senza essere distratta da quel corpo e dal suo membro in tiro tenuto a bada dai boxer. Faccio un respiro profondo e arrivo al tavolino per posare l’occorrente.
«Ora rilassati, Lewis». Riscaldo le mani e le ungo di olio essenziale e aloe vera.
«Che hai intenzione di fare?» Prendo la sua gamba dolorante e la sollevo poggiandola nell’incavo del mio seno. «È stupido se dico di essere geloso del mio piede». Lo tocco sulla caviglia e subito scatta. «Ahia! Fa male, cazzo».
«Non importunare la massaggiatrice». Con mano ferma ed esperta, inizio a sfiorare delicatamente la caviglia dolorante.
Le mie dita danzano con maestria lungo i contorni affaticati, cercando di alleviare la tensione accumulata.
«Oh, mio Dio! Le tue mani sono fantastiche. Dove hai imparato a farlo?»
«Una delle mie coinquiline dell’università studiava per diventare fisioterapista sportiva. Spesso, ho fatto da sua cavia durante le sessioni di studio, ma a volte accadeva anche l’opposto. Mentre io assimilavo conoscenze, lei metteva alla prova i concetti utilizzandomi per identificare i punti chiave da trattare».
«Quali altri segreti nascondi?»
«Solo un altro, ma questo è molto pericoloso». Rafforzo il massaggio e a parte qualche smorfia Jamie non si lamenta.
«Allora, questo segreto pericoloso?» Sorrido davanti la sua curiosità.
«Sei sicuro di volerlo sapere?» Annuisce ignaro che sto per sconvolgerlo. «Dopo che uno stronzo si è introdotto con me e la mia coinquilina in ascensore per farsi una sega per poi andarsene lasciandoci indenne ma totalmente impaurite, mi sono iscritta a un corso di MMA per imparare le tecniche dell’autodifesa».
«MMA? Intendi le arti marziali?» Chiede in totale shock.
«Mmh». Spalanca la bocca.
«Sempre più convinto. Casco, e per le parti basse, conchiglia. Il fatto che tu fossi pericolosa per la mia salute l’avevo già capito, ma non fino a questo punto». Sorrido.
«Ti conviene farlo», scoppia a ridere. «Comunque se può tranquillizzarti, sono anni che non lo pratico più. Ma le cose importanti le ricordo ancora». Continuo il massaggio sperando sia d’aiuto.
«Julia!»
«Dimmi». La sua faccia è ritornata seria.
«Davvero non valuteresti nessuna offerta da parte mia? Come cazzo faccio a non chiederti di venire a lavorare per il mio team dopo tutto quello che so di te? Mi fai persino venire voglia di licenziare George». Spero di conoscerlo, sembra sia una persona importante per lui.
«No, Jamie. Non ora e non così. Ti prego». Fa il broncio e io non ribatto, preferisco terminare il mio lavoro. «Andiamo a letto. È tardi e domani devi lavorare». Continua con il suo muso e piano si alza dal divano.
Raccolgo le cose e torno in bagno. Mi fermo a guardare la mia immagine riflessa nello specchio e ragiono su quanto appena accaduto. Non nego che mi piacerebbe lavorare per lui. La Formula 1 è qualcosa a cui ambisco da sempre. Sfruttare le mie conoscenze per il team ARGE sarebbe fantastico, ma non posso, non così. È stupido che io lo pensi eppure la sua offerta mi sembra un atto dovuto. Manderò loro un curriculum come farò con tutti gli altri senza comunicarlo al mio pazzo pilota. Julia Testa non ha bisogno di raccomandazioni, soprattutto dall’idolo per il quale ha perso la testa.

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