73. Capitolo Julia Testa

105 5 0
                                    

“Principi etici elevati producono metodi di business efficaci.”
JAMES WATT

«Salve, signorina Testa. Sono l’agente Murray. Innanzitutto, come si sente?»
«Meglio di quanto dovrei». Sono integra, è già qualcosa.
«Mi fa piacere che dal punto di vista medico tutto si sia risolto per il meglio. Adesso bisogna trovare chi voleva farle del male. Può dirmi cosa si ricorda dell’accaduto?»
«Avevo appena ricevuto il ben servito da parte della mia azienda».
«Che cosa?» Chiedono tutti in coro, compreso Jamie, che però non mi guarda.
«Scusatemi, signori. Non è il momento di fare commenti. Prosegua, signorina Testa».
«Ho lasciato l’ufficio dove è avvenuto il colloquio. A parte i meccanici intenti a caricare i camion, non ho notato nulla di strano. Stavo cercando il telefono quando ho avvertito un pizzico e poi non ricordo più nulla». Cerco di sforzarmi, ma ho come un vuoto nella testa.
«Dove si trovava quando ha avvertito il malessere?»
«Nel parcheggio. Ricordo di aver marcato l’uscita del paddock e poi quello che ho detto prima». Cerco di ripercorrere quei momenti e non trovo niente di strano.
«Quindi non ricorda nulla. Nessun indizio che potrebbe esserci utile?» Aspetta…
«Ora che ci penso, credo di aver visto una siringa al mio braccio e un’ombra nera incedere verso di me». Non credo di essermelo immaginato.
Porto lo sguardo nel punto dove ho avvertito il dolore. Lo tocco, è lieve, ma fa ancora male.
«Per caso è successo altre volte, cioè ha mai avuto il sentore di essere seguita?»
«In realtà, di continuo. Non sono famosa per essere un cuore di leone. Però la settimana scorsa, tornando dal lavoro, ero davvero convinta che qualcuno mi stesse inseguendo. Alla fine ho scoperto essere il vicino di casa di Jamie con sua figlia che mi chiedevano di fare una foto con loro». Sorrido ricordando la ragazzina.
«Capisco. In che rapporti è con il suo collega Willer?»
«Che c’entra il mio collega?» Non capisco.
«È stato lui a trovarla. Ha chiamato i soccorsi e l’ha scortata fino all’ospedale».
«Abbiamo avuto un diverbio in passato, ma le cose con il tempo sono migliorate. Non che siamo amici, ma a lavoro ci tolleriamo abbastanza. Più tardi lo ringrazierò per avermi salvata». A quanto pare mi tocca farlo.
«Pensa che lui possa essere coinvolto in quello che le è accaduto?»
«Per quanto conosco Joss, non credo sia un tipo pericolo. Non riesco a trovare una logica immediata dietro a un suo comportamento. Tuttavia, ho imparato che la gente può impazzire per niente, quindi non escludo nulla. Nel mio cuore, però, credo che sia innocente, e poi mi ha salvato. Non avrebbe senso».
«È esattamente quello che penso anch’io». Cerco di ricostruire i movimenti di Joss, ricordando che stava lavorando in ufficio quando ho raggiunto Parker. «Se non c’è altro, andrei. Comunque, signorina Testa, il suo fidanzato ha il mio numero. Se ricorda qualcosa, non esiti a contattarmi. La terrò aggiornata sugli sviluppi». Annuisco e lo saluto.
Il dottore che mi aveva visitata in precedenza apre la porta, scambia qualche parola con il poliziotto e scuote la testa. Gli esami ginecologici e i test sullo stupro non hanno rivelato nulla, tranne alcune tracce leggere del rapporto avuto con Jamie nel pomeriggio. Fa il suo ingresso, saluta tutti e fornisce un aggiornamento sulla mia cartella.
«Che succede, dottore?» Chiede Jamie in apprensione.
«Abbiamo eseguito alcuni test di routine sulle urine». Si avvicina al letto e si siede. «Quando è stata la data del tuo ultimo ciclo?»
«Una settimana fa». Il medico annuisce.
Io osservo quanto sia a disagio Jamie, la mia mente annebbiata, la mia testa piegata, il mio corpo che diventa sempre più rigido di secondo in secondo mentre il dottore parla e io non ascolto.
«Sono incinta?» Gli occhi di Jamie si spalancano.
«No. Non lo è, ma se è passata solo una settimana dal ciclo, potrebbe essere troppo presto per dirlo. Usa la pillola contraccettiva, Julia?»
«Sì».
«Allora penso che possiamo affermare che non è incinta». Un’ondata di sollievo invade il mio corpo; non sono ancora pronta per affrontare la responsabilità di un figlio.
Ho bisogno di concentrarmi su come ricostruire la mia carriera, riappropriarmi di quella parte di me che ho sacrificato. Jamie abbassa lo sguardo, evitando di incrociare il mio. In questo momento, la sua mancanza di confronto visivo è una benedizione. Non posso incolparlo per ciò che mi è successo; la colpa risiede in chi ha voluto farmi del male. La mia mente però lo dipinge come colpevole di avermi guidata verso decisioni che mi rendono triste e infelice. Perché ho dovuto rinunciare al mio impiego quando avrebbe potuto essere lui a sacrificarsi per lavorare in RED? E poi vorrei proprio vederlo questo sacrificio. Come minimo avrà più zeri di quelli che vedrò mai lavorando per tutta la vita. Lo odio.
«Il test sulle urine ha confermato la presenza del Rohypnol». Il medico, con calma professionale, mi informa che posso tornare a casa. Non c’è alcun motivo per restare, solo il consiglio di riposare per qualche giorno. «Se è d’accordo, vado a preparare le sue dimissioni», conclude, aspettando una risposta.
«Voglio andare a casa», affermo con determinazione.
Il medico annuisce rispettosamente, ma mentre elaboro la gravità della situazione, la stanza sembra stringersi intorno a me, e il silenzio risona nelle pieghe della mia mente. Le lacrime minacciano di sgretolare la mia risolutezza, il pensiero si fa strada nella nebbia: qualcuno voleva farmi del male. Il Rohypnol è la testimonianza crudele di una minaccia concreta, oltre la sfera complicata dei sentimenti personali.
La mia testa sta per scoppiare: ho messo da parte la verità per concentrarmi sull’odio che provo per la persona che amo. Stringo forte la mano di Jamie. I suoi occhi trovano i miei, pieni di lacrime non versate e angoscia. L’ho odiato mentre lui attraversava l’inferno in questo ospedale. Jamie si alza e appena si avvicina al letto inizio a singhiozzare.
«Merda, che succede?» chiede mio fratello in allarme mentre io mi stringo a Jamie.
«Sta avendo un contraccolpo. È qualcosa che ho sperimentato in passato dopo un incidente grave che ho avuto. Non pensavo solo che sarebbe accaduto così in fretta. Julia si è riconnessa alla realtà, o meglio, la parte emotiva si è ricollegata. Ha preso consapevolezza del pericolo che ha scampato, ma di certo non risolto». Non sapevo avesse subito un incidente, e la cosa mi fa piangere ancora di più.
«Non dire fesserie, Jamie. Mia sorella ha risposto a tutte le domande senza battere ciglio». Non ricordo neppure di averlo fatto.
«È questo il punto. La razionalità di Julia ha occultato il reale problema. Ora però sente la gravità di quello che le è successo e reagisce». Mio fratello impreca in italiano.
«Tesoro, per favore, non piangere. Diventerò ancora più matto se piangi». Non voglio lasciarmi andare alle lacrime, ma non riesco a controllare quello che sento; ho bisogno di lui. «Dio, aiutami», mormora. «Aiutami, cazzo».
«Mi dispiace tanto». Mi dispiace di averlo fatto preoccupare mentre io perdevo tempo a odiarlo.
Ci vuole un po’, affinché riesca a riprendermi. Jamie mi tiene stretta, e io mi aggrappo a lui. Alla fine, riesco a calmarmi e lo lascio andare, asciugandomi alla meglio il viso. Ritorna la rabbia, ma questa volta è diretta verso lo sconosciuto che vuole farmi del male.
«Portami a casa. Voglio andare a casa, Jamie». E lui non perde tempo.
Mi infila una delle mie tute. Ignoro come sia arrivata qui in ospedale. Scalcio con le gambe, pronta a uscire dal letto, ma Jamie non è d’accordo. Mi prende in braccio e mi porta fuori, chiedendo ad Andrea di prendere le mie cose. Mentre usciamo, la luce del giorno mi acceca, svelando un mondo che sembra irreale dopo ciò che ho vissuto. Jamie mi sistema in macchina, anche se non credo sia la sua, e richiude la portiera. Gli altri membri della famiglia salgono dietro di noi. Sono così stanca che fatico a tenere gli occhi aperti, e infatti, non vedo più nulla, cedo al sonno, riflettendo su quanto la mia vita sia cambiata in poche ore.

SAY SOMETHING RESTYLINGDove le storie prendono vita. Scoprilo ora