26. Come paglia e fuoco

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Tre giorni dopo l'arrivo dei guitti in città la situazione pareva essere tornata alla normalità e, sebbene quel gruppo di uomini variopinti costituisse ancora argomento di conversazione, il fatto che non avessero dato problemi era bastato a persuadere anche i più riottosi ad accettare la loro presenza, almeno fino a che il sole non fosse tornato stabile su di loro come gli oritani seguitavano a dire avrebbe fatto conoscendo il loro autunno.

Era stata una piacevole distrazione, in effetti, perché la sua mente continuava a pensare e ripensare alla conversazione che aveva suo malgrado origliato e, di conseguenza, a ciò che aveva carpito del monolitico passato dell'uomo di cui si era innamorato.

Sapeva bene che Manuel avesse un passato, chiunque lo aveva, e sapeva altrettanto bene che non amava parlarne e che gli fosse rimasto molto da conoscere dell'aitante cavaliere cui si univa per la carne e per il fiato ogni sera che vi era occasione. Lo sapeva bene e gli era sempre andata a genio quella situazione, che il suo di passato era talmente ingombrante che non occorreva che Manuel mettesse anche il suo assieme, specialmente perché immaginava fosse più doloroso di quanto chiunque potesse immaginarsi.

Se c'era una cosa che aveva capito - e che, in effetti, Manuel non gli aveva mai nascosto una volta che fra loro era iniziata quella relazione - era che Giulio aveva ragione quando gli aveva rivelato che esistevano contemporaneamente ser Ferro e Manuel Ferro, e che il secondo si era trincerato dietro al primo perché costretto dalle rigide regole del mondo in cui era cresciuto, buttando giù bile e veleno di ogni tipo per tirare su quell'altro sé stesso che la gente ammirava e chiamava eroe, quello che suo padre aveva plasmato come la copia migliore di sé stesso e del quale Manuel reggeva sulle spalle il peso, anche se spesso questo lo portava a non vedere quanto fosse abile, quanto non fosse chi fosse solo per talento ma soprattutto per un'abilità senza pari che aveva appreso e migliorato.

Eppure, nonostante tutto questo, non riusciva a ritenere possibile di aver udito quel che aveva udito, non gli riusciva possibile ritenere che il vero motivo per cui si era preso cura di quella bambina venuta dal niente fosse il fatto che la sua non fosse mai nata. Per un folle istante era stato finanche geloso, geloso di quella donna che Manuel aveva amato a tal punto da accettare l'idea di diventare padre per lei pur ad una sì giovine età, geloso di quella bambina che adesso occupava una parte che non sapeva quanto fosse grossa dei pensieri del suo cavaliere.
Ma Manuel lo aveva stupito ancora una volta, dimostrandogli che c'era spazio per tutti nella sua vita e, anche se ovviamente la presenza di Lilli aveva reso impossibile per quei giorni stare assieme come avrebbe desiderato fare, non gli aveva impedito comunque di tenerlo con sé nel proprio letto e stringerlo per "tenerlo al caldo" come era solito ripetergli e a lui era andato bene anche così.

Quella mattina, tuttavia, Giulio gli aveva informati che due degli uomini deputati alla guardia dei guitti non erano nella condizione necessaria a poter svolgere tale mansione e così, onde non creare sospetti sul perché fossero scesi assieme, Manuel aveva detto che sarebbero stati loro due a coprire quel turno e così avevano marciato assieme dal castello fino alla zona che chiamavano Lama, dove i carri di quello strano corteo erano stati condotti e dove, non appena arrivati, trovarono una compagnia nota ad attenderli.

«Messer Ferro» scatto sugli attenti il giovane bardo biondo, abbandonando lo strumento musicale per farglisi vicino con gli occhi di chi ha appena visto davanti a sé un angelo «Quale onore per noi avervi qui. Posso fare qualcosa per voi?».

«Non è per una visita di cortesia che io e il mio uomo siamo qui» replicò, facendo poi un piccolo inchino alla ragazza che sopraggiungeva dietro «Oggi sta a noi montare la guardia al vostro accampamento».

«Non è un compito da soldataglia questo?» domandò Ramira «Voi siete un cavaliere, come mai tocca a voi abbadare a che non creiamo problemi?».

«Coloro che erano deputati a tale compito non eran nelle condizioni di poterlo fare ed un buon comandante sa che se i suoi uomini sono indisposti non può e non deve delegare ad altri, madonna. O almeno io la penso così».

La ballata del cigno e dello scorpione Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora