41. Pacco

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Erano le due settimane di pausa tra il Gran Premio del Qatar e quello degli Stati Uniti, i miei esami posti e completati nella prima settimana di quest'ultima mentre mi stavo godendo i più che meritati giorni di pausa. Perché finalmente mi ero laureata e con 102 addirittura!

Sapevo che non sarei riuscita ad ottenere di meglio, infondo i miei primi esami compiuti anni prima non erano certamente andati come quest'ultimi; eppure mi ritenevo abbastanza soddisfatta e orgogliosa di me stessa da spazzare via quel briciolo di delusione.

Ed ero circondata dai miei amici, dai parenti e familiari, e la festa che mi avevano organizzato era veramente stupenda.

Ma all'appello mancavano i nuovi incontri, quelli estivi che mi avevano fatto tornare il sorriso in modo diverso.

Perché mi accorgevo che sembravo essere due Martine diverse, con i due gruppi. Quello mio di casa e quello appena sviluppato, intendevo. E non sapevo quale delle due versioni fosse quella che più mi apparteneva.

Comunque, era il primo fine settimana quando ricevetti un pacco, uno di quelli enormi che ti doveva consegnare il postino dal vivo ed aiutare a portare dentro casa. Ed ero confusa mentre firmavo per una scatola che nemmeno avevo ordinato.

Poi vidi la grossa scritta 'Bob and friends' a caratteri cubitali e sapevo a chi appartenesse. Chi me lo avesse mandato.

E per quanto avessi voluto scuotere la testa e fare la donna indipendente e orgogliosa, era la mia eccitazione ad avere la meglio.

E scoprii che all'interno ci fossero più pacchetti dalle svariate forme e colori.

Aprii il primo dalla scritta Dior e già sospiravo afflitta, quel brand fin troppo costoso da potermelo permettere. E all'interno c'era un gloss brillantinato e un lip kit, le mie labbra che si arricciavano affezionate mentre leggevo il bigliettino d'auguri da parte della modella nella bustina.

E non c'erano dubbi fosse da parte sua.

Aprii il prossimo pacchetto e conteneva un'altra bustina Dior con uno dei suoi famosissimi profumi, Miss Dior. E risi leggermente quando sul bigliettino scorsi il nome di Pierre, il tutto incorniciato dalla scrittura di Kika che mi assicurava che l'avesse scelto lui in persona.

Presi un'altro dei pacchetti e notai la busta rossa Ferrari con il logo del cavallino, le mie mani che tremavano dall'eccitazione mentre ignoravo qualsiasi cosa contenesse e mi fiondavo sulla cartolina. E fingevo di non essere delusa quando su di essa c'era solo la firma di Carlos.

Scovai sotto tutta quella carta velina una giacca Ferrari vintage, una di quelle vistosamente costose e che mai e poi mai mi sarei potuta permettere. Ma era davvero bellissima e sapevo sarei riuscita a sfruttarla al massimo.

Vidi che nella scatola rimanevano solamente altri due piccoli involucri e presi quello più pesante, quest'ultimo che proveniva da una gioielleria- e quando scorsi il cofanetto azzurro Tiffany quasi mi cadde dalle mani- contenente un piccolo anello.

E non era fine e delicato, non era la tipologia di gioiello che si aspettava da un brand come Tiffany and Co.
Ma la banda era irregolare, quest'ultima che avvolgeva una pietra d'acqua marina vistosa posta al centro che la rendeva la vera star di quell'anello. Perché era a forma di goccia, e per un motivo a me sconosciuto mi ricordava fortemente l'estate.

E lo adoravo perché era questo il tipo di anelli che amavo indossare, vistosi e con un significato dietro.

Sorrisi e me lo infilai sul dito scoperto, l'indice della mano destra lasciato vuoto dalla sua solita banda. Quella che avevo regalato al monegasco.

Serrai le labbra sorpresa quando l'anello entrò con facilità, quest'ultimo che sembrava essere fatto apposta per il mio indice destro mentre scuotevo la testa incredula. 

Perché tutti, parenti, amici e perfino i miei genitori, erano soliti sbagliarmi la taglia. Tutti.

Eppure questo anello calzava a pennello.

Cercai un bigliettino all'interno del cofanetto ma non trovai niente, le mie spalle che si alzavano involontariamente mentre pensavo potesse essere un regalo di Lando e che fosse stato talmente sbadato da scordarsi la cartolina. Infondo era pur sempre Lando.

Ed era un degli anelli più belli, e costosi, che avessi mai visto. Ed apparteneva a me.

Presi in mano l'ultimo involucro della grande scatola e notai sembrasse una busta delle lettere.

La aprii curiosa e la mia bocca si spalancò quando dentro di esso notai il biglietto aereo a mio nome con destinazione America. Più precisamente Austin. Ed era datato al 19 ottobre.

Sotto ancora trovai un biglietto, una lettera, e fui in grado di riconoscere la scrittura di Lando.

Non perché l'avessi mai visto scrivere, semplicemente immaginavo fosse l'unico ad avere una scrittura così illeggibile.

Ed avevo ragione.

Scrisse che non potevo rifiutare e che era tutto già pagato, che era un regalo a cui aveva pensato tanto e che si sarebbe offeso tantissimo se non avessi accettato.

Scrisse inoltre che era presente anche quello di ritorno, eppure quest'ultimo non aveva una data precisa perché avrei potuto decidere io quando tornarmene. E speravano tutti decidessi di viaggiare con loro fino alla fine della stagione, ad Abu Dhabi.

Ed erano folli. Perché significava stare un mese, giorno per giorno trascorso con loro.

Ed avrei voluto poterlo fare ma non potevo vivere a spese loro, non potevo proprio.

Così chiamai Lando e lo ringraziai tra un insulto e l'altro, quest'ultimo che rideva sereno e mi diceva che lo meritavo, che finalmente mi avrebbe rivisto dopo più di un mese di lontananza. E fingevo di essere schifata dalle sue parole dolci ma mi mancava enormemente. Così gli dissi che accettavo, che sarei venuta al Gran Premio degli Stati Uniti e forse, forse, sarei rimasta fino a quello del Messico.

Perché già due settimane a carico del pilota McLaren erano fin troppe, e i sensi di colpa cominciavano ad assalirmi e nemmeno ero salita su quel dannato aereo ancora.

E spiegare ai miei che sarei partita per due settimane per raggiungere l'America era veramente complicato. Così sospirai afflitta e decisi fosse il momento di raccontare loro la verità, di svelare agli occhi di altre persone quella parte di estate che volevo disperatamente tenere nascosta.

Ed era stato quasi divertente ed era dovuto intervenire mio fratello per mediare la discussione.

Perché mia madre, ovviamente, non accettava le mie scelte.

Non le accettava e non le condivideva.

E il giovedì mattina, il giorno della partenza, tre bagagli tra le mani e sulla soglia della porta, si era girata verso di me e mi aveva guardato come tanti anni prima.
Come se le stessi sfuggendo dal controllo.

E avevo aperto la porta e lo aveva quasi sussurrato, giusto per farlo arrivare a me e a me soltanto, quasi a nasconderlo dalle orecchie innocenti di mio fratello che iniziava a portarmi i bagagli.

"Stai facendo un grosso sbaglio," Aveva detto. "Tu non sei come loro." Aveva continuato.

E l'avevo ignorata e mi ero seduta in macchina, mio fratello al volante mentre alzavo la musica per impedire che le sue parole mi arrivassero al cervello.

E poi salii sull'aereo, e poi il silenzio mi raggiunse.

E provai ad ascoltare nuovamente la musica ma non c'era niente da fare.

Perché era riuscita a distruggere ancora una volta quel poco di sicurezza che avevo faticosamente ritrovato.

Gocce d'estate[C.L]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora